Attualità
21 Marzo 2020
E se invece di passare dall'estrema tolleranza all'estrema intolleranza provassimo a darci delle regole?

Aree Sgambamento Umani

di Ruggero Veronese | 6 min

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Tra la privazione dei diritti e la selvaggia anarchia dovrà pur esistere qualche compromesso razionale e accettabile. Così almeno la vedo io, mentre osservo l’intensificarsi di scontri e dibattiti in tema di attività fisica all’aria aperta durante l’emergenza Coronavirus.

Questione di cui – immagino – siate già al corrente un po’ tutti: dopo un’iniziale vaghezza nelle disposizioni del Governo (molto fumoso nel definire se e in quali condizioni sarebbe stato possibile dedicarsi a una qualche attività fisica), negli ultimi giorni un po’ tutti gli enti da Palazzo Chigi ai singoli Comuni stanno varando norme decisamente più rigide. Ora i parchi sono chiusi, le campagne proibite e l’unico modo per dar senso all’esistenza dei quadricipiti è accelerare il passo quando scatta il giallo al semaforo pedonale. Sempre che abbiate un buon motivo per essere fuori casa.

Ci sono momenti in cui tutto questo mi sembra pienamente giustificato e necessario, altri in cui vorrei scappare in mezzo a un campo di barbabietole e iniziare a correre in linea retta come Forrest Gump. E non parlo di quei momenti che vanno e vengono, senza un vero perché. Ormai so esattamente come le due fasi si alternano.
Di mattina e nel primo pomeriggio mi ritrovo vicino alle posizioni dei ‘runners’: che pericolo o fastidio darò mai – mi chiedo – se parcheggio l’auto in cima a un canale del Po e mi faccio una corsetta/passeggiata/biciclettata solitaria lì attorno? Che è un po’ lo stesso pensiero che hanno molti di voi nel lamentarsi delle restrizioni.

Poi arrivano le ore 18:00, con l’ormai consueta conferenza stampa del capo della Protezione Civile che snocciola i dati sull’epidemia. Su questa tragica e maledetta epidemia. Ieri ci sono stati 627 morti e non oso immaginare cosa ascolteremo stasera. Borelli dice che l’unico modo per farla passare è rispettare le disposizioni tutti quanti e tutti insieme, senza sgarri né eccezioni, e ha ragione. 627 morti in 24 ore. Anche un giorno solo senza questa epidemia vale ogni possibile rinuncia.
I quadricipiti possono aspettare.

Ma in realtà è solo questione di una notte. Domani mattina questa privazione del più primitivo e basilare dei diritti – il diritto di camminare sulla terra – tornerà a sembrarmi strana ed eccessiva. Sento che in fondo c’è qualcosa che non va, che poteva essere fatto, deciso e organizzato meglio. Che ci sono risvolti negativi in questa decisione a cui non si sta facendo abbastanza caso.

Il fatto è che questa privazione è realmente una soluzione estrema, e quindi difettosa, imprecisa e imperfetta come tutte le soluzioni estreme. Parecchi politici, dal premier Conte all’assessore alla sanità lombardo Gallera, lo hanno detto esplicitamente: per colpa dell’inciviltà di alcuni, ora pagheranno tutti. Visto che nelle ultime settimane troppa gente molto ingenua o molto menefreghista se ne è infischiata di ogni rischio per sé e per gli altri, ora ce ne dobbiamo stare tutti in casa.

È una soluzione, certo, ma è anche una punizione. Ed è una punizione che coinvolge troppe persone che non avevano motivo per essere punite, provocando di conseguenza tensioni, malumori e – ne sono certo – tantissime infrazioni. Che oltre a far incazzare qualche governatore di regione (spero che tutti abbiate visto De Luca mentre minaccia di mandare i carabinieri col lanciafiamme alle feste di laurea) rischiano di facilitare e accelerare i contagi.

Credo che l’errore della politica in tutta questa faccenda sia stato quello di passare da un estremo all’altro. Ovvero da una situazione di completa e ingenua fiducia nel senso civico degli italiani – a cui veniva in sostanza chiesto senza troppe norme o controlli di tenersi lontani gli uni dagli altri – a una totale diffidenza verso chiunque attraversi l’uscio di casa, che deve suo malgrado accettare misure da regime bolscevico, con tanto di vicini di casa pronti a denunciarti di nascosto come da miglior tradizione sovietica.

Francamente mi pare un po’ troppo. Ma soprattutto mi pare poco logico, dal momento che l’unica cosa che tutti abbiamo davvero capito su questo virus è che viene trasmesso da altri esseri umani, e non certo da platani o fagiani. Potrebbe anche avere un senso ed essere accettata se si trattasse di una soluzione provvisoria, dalla durata di qualche giorno o settimana, ma parliamoci chiaro: qualcuno davvero crede che questa epidemia si fermerà in qualche settimana? Non si può vivere in modalità provvisoria per mesi: in situazioni come questa occorrono nuove risposte e modi più duraturi per organizzare le necessità quotidiane.

Quindi me ne vorrei uscire con una proposta, nella speranza che il sindaco Fabbri o chi per lui la prenda in considerazione per trasmetterla al Governo o alla Regione (uso le maiuscole per essere il più istituzionale possibile), sempre che non si scontri col suo apparente desiderio di vedere checkpoint e camionette dell’esercito in mimetica in tutti gli incroci della città.

La proposta è semplice: cosa si fa quando non ci si può fidare troppo del prossimo, ma allo stesso tempo si vuole evitare di sottoporre tutti a divieti eccessivi? Semplice: ci si pone delle regole. Si regolamenta un’attività. In questo caso, l’attività fisica all’aperto.
Credo che non sarebbe molto complicato per i Comuni individuare delle aree verdi o rurali pubbliche e regolamentarne l’accesso, anche col supporto delle tecnologie digitali che possono permettere alle persone di coordinarsi tra loro e con gli enti di controllo. Perché è vero che ora non si può andare tutti insieme al parco, ma non potrebbe andarci qualche persona alla volta, a turno?

A livello pratico, il discorso è molto semplice: attraverso semplici app per i cellulari – magari sviluppate da quelle tante aziende che oggi soffrono la crisi – ogni cittadino potrebbe informare il Comune della propria intenzione di recarsi a una determinata ora in un’area verde, ricevendo una risposta affermativa o negativa, o magari una proposta alternativa per un altro parco o un altro orario.

In questo modo oltre a non dover sopprimere del tutto alcuni tra i più basilari dei diritti – libertà, mobilità, libero utilizzo del proprio corpo, quelle cose lì -, per gli enti di controllo sarebbe anche più facile verificare se ciò che la gente fa corrisponde a ciò che aveva dichiarato. Mi sembrerebbe anche un metodo più affidabile e tracciabile di tutte queste autocertificazioni svolazzanti scritte a penna sul momento, credibili quanto i libretti delle giustificazioni al liceo per entrare alla seconda ora. Perché quello è, allo stato attuale, l’unico strumento di controllo di cui si è dotato lo Stato italiano nei confronti della popolazione.

Aree di Sgambamento Umani. Lo so: mette tristezza solo a pensarci. Ma sono le dieci di mattina e tra otto ore Borelli ricomparirà in televisione a parlare di contagi e morti: a quel punto manderò al diavolo chiunque mi parlerà della sua voglia di uscire di casa e correre al parco. Approfittiamone finché dura il giorno e cerchiamo di puntare a quello a cui oggi è giusto puntare: un compromesso.
Un triste, ma logico e possibile, compromesso.

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