Indiscusso
14 Marzo 2020

Se non impariamo da questa esperienza siamo davvero perduti

di Marzia Marchi | 3 min

In occasione della tragedia di Rigopiano ebbi a scrivere che gli italiani sono un popolo di eroi e di imbecilli. Che ci siano eroi è ulteriormente testimoniato dall’abnegazione dei sanitari che combattono in prima linea contro questa tragedia in cui siamo incappati, il maledetto virus che sta mettendo in ginocchio il nostro Paese e il mondo intero. Ma da noi permangono anche gli imbecilli!
A partire dagli alti ranghi politici, soprattutto – va sottolineato-seduti sul lato destro, i quali per anni hanno gridato al pericolo infestazione derivato dai barconi di disperati in fuga. Ora la storia dimostra che le pestilenze si diffondono anche, e forse in peggior misura, quando viaggiano in giacca e cravatta in business class sugli aerei. Ma non si tratta qui di cercare le colpe, né di fare la caccia all’untore, le epidemie sono sempre esistite nella storia dell’umanità. Se però oggi diventano pandemie è soltanto perché siamo di fronte all’evidenza che siamo un unico popolo, dal greco pan: tutto e demos : popolo.
Questo è il messaggio del virus che gli eroi comprendono e combattono e che gli imbecilli si ostinano a negare, pensando a chiudere inesistenti frontiere.
Il pestilente Covid19 è il classico granello di sabbia che inceppa l’intero ingranaggio. Mentre miete vittime da un capo all’altro del mondo, scardina la struttura delle differenze sociali, perché colpisce indistintamente poveri e ricchi, colti e ignoranti, credenti e atei. Viaggia più veloce dei bitcoin e dei nostri sofisticati strumenti digitali che condizionano i destini di milioni di esseri umani con un clic! Un invisibile virus sta mettendo in ginocchio l’economia mondiale, o meglio l’economia mondiale dominante, quella che vive di merci che si spostano – spesso inutilmente – da una parte all’altra del globo terrestre, quella che ignora i fusi orari e l’ambiente naturale.
Ma se il cielo cinese è tornato ad essere visibile con 50 giorni di stop totale alle attività di un’ intera regione, significa che il virus ha anche un suo potere taumaturgico: insegnarci che fermare la folle discesa verso la catastrofe ambientale si può.
Le città deserte possono sembrare tristi ma ci mostrano che fermarsi è possibile, che vivere diversamente si può. Non stiamo tutti morendo, stiamo rallentando i nostri ritmi di vita.
Non sono superficiale e penso con apprensione alle persone che se non lavorano non hanno stipendio ma ciò che emerge è che serve più Stato e non meno, come sempre da destra – e troppo spesso anche da sinistra – è stato predicato in questi anni. Ora tutti invochiamo l’intervento dello Stato, non del mercato! Ve lo ricordate il motto meno Stato più mercato? Ma lo Stato non è e non può diventare un mero contenitore di politiche di parte, legate agli interessi dei più furbi, né può essere l’angusto territorio di un popolo predefinito. Lo Stato è una forma di organizzazione della collettività, una collettività in movimento continuo che sa darsi fondamenti di solidarietà.
L’Europa, che i sovranisti seduti a destra hanno sbugiardato, ora viene invocata come fonte di aiuto e l’Europa dei popoli che non è stata costruita ora mostra i suoi frutti. La vicina Germania ci sbatte la porta in faccia e arrivano gli aiuti dalla Cina, che forse qualcosa dall’esperienza pandemica ha imparato. Mentre l’Europa s’affanna a chiudere le strade contro la veicolazione del virus che semina morte, e in Italia siamo preoccupati per la mancanza di manodopera che semini davvero, nell’agricoltura, spargiamo gratuitamente morte sui profughi che già fuggono dalla guerre mediorientali. Se non comprenderemo che la guerra al virus non si vince senza mettere in discussione l’intero nostro sistema economico-politico, la prima pandemia della storia non resterà l’unica. So che qualcuno, spaventato da queste parole, mi augurerà di prendermelo il virus, ma invece io mi unisco al coro degli eroi: possiamo farcela, basta cambiare!

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