Politica
10 Gennaio 2020
La responsabile del Cismai spiega procedure e linee guida dell'associazione. Marescotti (Pd): "Alcuni allontanamenti non erano necessari, ma dai dati ufficiali non può emergere"

Affidi a Ferrara, la commissione prova a fare chiarezza: “Una sculacciata è maltrattamento?”

di Ruggero Veronese | 4 min

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In Italia non esiste alcun sistema per raccogliere i dati sui minori che hanno subito maltrattamento e le poche ricerche statistiche sul tema sono frutto dei “carotaggi” a campione eseguiti dalle associazioni. È su questa premessa che si basa la relazione della presidente del Cismai (Coordinamento Italiano contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) Gloria Soavi, invitata a parlare alla commissione consiliare di indagine sul sistema di affidi a Ferrara. Un appuntamento che in un certo senso vede Soavi in una doppia veste, essendo il Cismai da un lato un’indispensabile fonte di informazioni sul sistema in questione (visto che è responsabile delle due principali ricerche statistiche in tema di affidi), ma dall’altro anche una delle associazioni su cui sono piovute le critiche più accese dopo il caso di Bibbiano, accusata da quotidiani come Il Foglio di “plasmare i giudici” con un approccio troppo ‘punitivo’ verso i genitori segnalati ai servizi sociali.

Sarà forse per questo motivo che le domande a Soavi da parte dei consiglieri dei vari gruppi si alternano tra generiche richieste di informazioni sul sistema di affidi (con dati, cifre e procedure) e chiarimenti sull’operato o la composizione dell’associazione, in particolare da parte di Massimiliano Guerzoni (Ferrara Cambia) e Federico Soffritti (Fratelli d’Italia), che chiede se nel Cismai è ancora presente insieme alle principali cooperative sociali della regione la ‘famigerata’ coop Hansel & Gretel, al centro degli scandali nel reggiano, ricevendo come rassicurazione la risposta negativa di Soavi.

La dirigente del Cismai si concentra piuttosto su quelli che vede come i problemi strutturali nella lotta ai maltrattamenti, e in particolare proprio la mancanza di una banca dati nazionale che possa far capire e studiare le dimensioni e la diffusione degli abusi o delle violenze sui minori. I dati sono infatti raccolti a livello regionale, col rischio che uno stesso caso seguito da servizi sociali venga conteggiato più volte, mentre in alcuni Comuni anche di grandi dimensioni (come Roma) non è mai stato possibile raccogliere le stime con precisione. La necessità segnalata da Soavi di creare un filo diretto tra gli enti nei diversi territori trova d’accordo tutti i consiglieri dei vari gruppi, anche se ovviamente viene sottolineato come una soluzione richiederebbe iniziative di carattere interregionale e nazionale.

Difficile d’altro canto, finché i discorsi rimangono di carattere generale, chiarire se e quanto i vari consiglieri e la dirigente Cismai viaggino sulla stessa lunghezza d’onda: come in occasione dei precedenti appuntamenti con le responsabili locali dei servizi sociali, anche Soavi illustra infatti le prassi, procedure e linee guida seguite da chi si occupa di supporto all’infanzia, spiegando che le procedure di affidamento possono scattare solo di fronte a casi gravi e appurati di maltrattamento. Il problema però sta proprio nel mettersi d’accordo sulle definizioni. E a rivelare in qualche modo la distanza tra Soavi e una parte del consiglio è una domanda di Guerzoni, che chiede se “una sculacciata al figlio disobbediente si può considerare maltrattamento”. Pur premettendo che il quesito andrebbe valutato caso per caso, la dirigente Cismai afferma che “da un punto di vista educativo e psicologico la sculacciata non va bene, perché umilia il bambino”. Una risposta che solleva qualche perplessità da parte dei consiglieri sia di maggioranza di opposizione, che non nascondono di aver trovato utili ed educative le sberle o sculacciate ricevute in prima persona durante l’infanzia e non concordano con l’idea di un nuovo e diverso “contesto culturale” suggerita da Soavi.

Quello che poteva apparire come un intermezzo quasi goliardico all’interno della commissione finisce così per mettere a nudo una piccola ma reale distanza di vedute tra l’associazione e parte della politica locale. Ed è anche la consigliera Pd Deanna Marescotti a lasciar intendere che per poter davvero affrontare con chiarezza le questioni relative agli affidi andrebbe sgomberato il campo da una certa formalità e ufficialità su cui si fondano buona parte dei discorsi. “In Emilia-Romagna ci sono circa 80 casi di accoglienza in seguito a maltrattamenti: è un dato che preoccupa perché viene da chiedersi non solo perché questi fatti accadono, ma anche se c’era un altro modo per intervenire. Quegli 80 allontanamenti erano davvero tutti necessari? Io so che non è così. E non lo dico basandomi su dati ufficiali, che non possiedo, ma sulla mia esperienza di psicologa. Sono dati personali. Quando ci sono casi che rimangono in sospeso e decisioni dei tribunali che arrivano dopo anni, è chiaro che qualcosa poteva essere fatto meglio, e la responsabilità è anche di chi all’inizio ha preso le decisioni”. La difficoltà di fondo di questa commissione di indagine, del resto, è proprio questa: per valutare l’operato di chi si occupa di infanzia occorrerebbe studiare i casi singoli, ma è impossibile farlo senza entrare nella privacy di famiglie e bambini. Non rimangono che le relazioni e i dati ufficiali che però, come emerge ad ogni appuntamento della commissione, non sembrano ancora in grado di chiarire tutti i dubbi dei consiglieri.

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