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20 Dicembre 2019

“La serenàda” truculenta a Sambe

di Maurizio Musacchi | 4 min

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“La serenàda” a San Benedetto (meglio conosciuta come Sambe). Storia o leggenda, truculenta in poesia nei versi in dialetto di Nino Tagliani. Nel dopoguerra la mia famiglia si trasferì, da dove eravamo sfollati ad Aguscello, in corso Porta Po a Ferrara; nel quartiere di San Benedetto, ribattezzato successivamente, ”Sambe”.

Nelle serate estive, non c’era televisione o altro, ci si radunava nei “filò” in cortile e qualcuno raccontava pettegolezzi, storie, e altro. Noi bambini eravamo incaricati di raccogliere erba, non troppo verde e poi farne piccoli falò, il fumo pare avesse la facoltà di tenere lontane le zanzare.

Una delle storie che sentivo raccontare la sera e che mi colpì e che ancora ricordo, fu quella d’un uomo accoltellato e ucciso a conseguenza d’una lite d’amore. Sentii la parola “sbudellato”, che mi colpì profondamente, riferita ad un’immagine di morte francamente terrificante.

Nella lettura-ricerca di poeti da proporre in questo blog, mi sono imbattuto leggendo il libro “Spulgadùr frarési” in questa poesia-cronaca che vi propongo, parla probabilmente di quella storiaccia. Il poeta, con poche frasi rimate, propone odio, amore e morte da concentrate in una breve, drammatica poesia. Una storia che potrebbe ispirare tranquillamente una di quelle tragedie del teatro drammatico che tanto piace alle platee napoletane (e non solo), ad esempio.

Nino “Fanghét” Tagliani è il decano dei poeti ferraresi. Qualcuno lo definisce, addirittura, “il patriarca”. Uomo che nella vita ebbe tante vicissitudini umane. Le superò con coraggio grazie anche alle muse dialettali che incontrò, fin da bambino, nella golena del Po a Francolino e successivamente sua casa in golena del “Grande Fiume” a Ravalle. Se vi capita di trovare qualche cosa che lo riguardi: “Spiguladùr frarési” o “Par Fràra col dialèt”, antologia degli autori de “Al Tréb dal Tridèl”; leggetelo, ne vale la pena! Oggi, a voi, un piccolo “cammeo”: “La serenàda”. Letta dall’amico Roberto Gamberoni e relativo testo scritto. Buon ascolto-lettura.

LA SERENÀDA
di “Fanghét” (Nino Tagliani)
Al schitaràva, iér sìra, Bragulina
Sóta ‘na fnèstra, lì da San Bandét,
insiém a Chéch, Supión, Gìǵ e Fifét,
par fars butàr un bàś dàla Ruśina,
‘na ragazéta bèla cum’è un fiór,
la fiòla ad Zangarìn al muradór.

Al iéra un póch prastìn, lì vèrs il i ott
acsì ché lié l’è gnùda sal purtón
quand’ èco, ché cantànd una canzón
as véd gnìr da luntàn sié sèt zuvnòt.
‘Na stéla in ziél cascànd in cal mumént
l’à fat santìr un brùt preśentimént.

Rivànd avśìn a lór, mèz imbariàgh,
un zòp, ch’al iéra insiém a la squadràza,
guardànd al sunadór in su la fàza,
l’à dìt:- Guardè li lù con chil dó bràgh,
ché fat ‘na sunadina l’as cunsóla
co’n bàś struscià cal pùza da zivóla.

Un làmp, un sàlt, cal diàul ad Bragulìna
sénza sptàr ché al zòp l’avés finì
co’n śganasòn al l’éva imbazurlì
faśéndal cascàr dstéś slà smalmarìna.
Cum’è ill saétt, i grùp, i s’è zufà
con càlz e pùgn, biastém e bastunà.

Un zigh s’alieva int al scùr:- Un òm al mór.-
l’è Bragulìna ché fóra al gh’à ill budèl
parché int la pànza i g’à piantà ‘n curtèl.
La Rosa, squaśi màt dal dulór ,
l’agh cór avśìn, l’al bàśa e po’ la śvién
con la bóca slà bóca dal so bén.

LA SERENATA (Traduzione)
Suonava la chitarra, ieri sera, Bragulina sotto la finestra lì di San Benedetto, insieme a Checco Supion Gigi e Fifetto, per farsi buttare un bacio dalla Rosina una ragazzina è bella come un fiore, la figlia di Zangarino il muratore.
Era un poco prestino, li verso le otto intanto lei era uscita sul portone quand’ecco che cantando una canzone si vedono arrivare da lontano sei sette giovanotti. Una stella in cielo cadendo in quel momento ha fatto sentire un brutto presentimento.
Arrivando vicino a loro, mezzo ubriaco, uno zoppo che era insieme una squadraccia guardando il suonatore sulla faccia ha detto. -Guarda quel tipo lì con quelle braghe che fatta una suonatina che si consola con un bacio sciupato dal fiato che puzza da cipolla. –
Un lampo un salto quel diavolo di Bragulìna senza aspettare che lo zoppo avesse finito con uno sganassone l’aveva già rintronato facendolo cadere disteso nella fanghiglia. Come delle saette, gli uomini, si sono azzuffati con calci pugni, bestemmie e bastonate.
Un pianto si alza nell’oscurità:- Un uomo muore; è Bagulina che ha fuori le budella perché nella pancia gli ha piantato un coltello. La Rosa, quasi pazza dal dolore, gli corre vicino, lo bacia e poi sviene con la bocca sulla bocca il suo bene.

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