L'inverno del nostro scontento
18 Novembre 2019

Sciascia, Aldo Moro e la peste del linguaggio

di Girolamo De Michele | 2 min

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Di Sciascia su Moro si ricordano, a giusta ragione, L’affaire Moro e Todo modo.
Ma lo studio analitico e minuzioso della lingua di Aldo Moro, da parte di Sciascia, data dalla metà degli anni Sessanta, in un dialogo serrato, anche se poco appariscente, con Pasolini e Calvino.

Alla metà degli anni Sessanta non c’era internet, non c’erano i social, i testi si scrivevano a mano o con la macchina da scrivere: eppure è lì che Pasolini e Calvino colgono il manifestarsi di una nuova lingua, un’antilingua che più di mezzo secolo dopo ci darà gli shitstorming e gli AUSPICOCHETULASPENDAOGNIGIORNOINONCOLOGIAXOGNIMEMBRODELLATUAFAMIGLIA..NESSUNOSCLUSO, gli andare a vedere un essere inutile come sferaebbasta merita una punizione e i #SegreVadeRetro, i leoni da tastiera e gli odiatori seriali.
E sarà proprio Calvino, dieci anni dopo l’assassinio di Pasolini, a riconoscere che Pasolini ha avuto ragione a presentire l’arrivo di quella peste del linguaggio che oggi governa la comunicazione pubblica. E della quale lo stesso Moro, che ne è stato uno degli artefici, è stato vittima.

Nella concatenazione fra Pasolini e Calvino, Sciascia coglie nella tragedia di Aldo Moro la tragedia civile dell’infezione della lingua e di un paese destinato a divenire incivile.
Nel trentennale della morte di Leonardo Sciascia, ne parlerò mercoledì sera, alla Biblioteca Giardino, al punto 189 del Grattacielo, per chi vuole ascoltare. E magari, (ri)leggere Sciascia.

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