Cronaca
12 Ottobre 2019
Il sindacato Sappe parla dei problemi a Ferrara e nel resto d'Italia tra mancanza di risorse e scelte politiche: "Interventi a favore solo dei detenuti, mai degli agenti"

Troppa tensione in carcere, l’appello degli agenti: “Serve meno ideologia e più senso pratico”

di Ruggero Veronese | 5 min

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“Per gestire le carceri serve meno ideologia e più senso pratico”: è questo l’appello lanciato dagli agenti della polizia penitenziaria di Ferrara, che insieme ai propri colleghi e rappresentanti sindacali del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) descrivono una situazione all’interno della casa circondariale di costante emergenza e in cui alla prima scintilla si riaccende la tensione, come testimoniato anche dall’aggressione di pochi giorni fa a un agente e un ispettore da parte di un detenuto.

“Gli stravolgimenti a livello nazionale decisi dalla politica negli ultimi anni hanno creato difficoltà diffuse in tutta Italia – afferma il segretario generale del Sappe, Giovanni Battista Durante -, che a Ferrara si manifestano in modo ancora più grave perchè manca un protocollo di intervento per gestire le situazioni più critiche”.

Ma quali sono le colpe della politica in tema di carcere? Secondo il Sappe all’annoso problema economico della carenza di risorse e personale se n’è aggiunto uno di natura ideologica: “Ormai da una decina di anni – spiega Durante – tutte le volte che la politica è intervenuta nel sistema delle carceri è stato per migliorare le condizioni dei detenuti e mai dei lavoratori. Oggi i detenuti godono di libertà molto più ampie e possono girare per le sezioni per tutto il giorno, anche senza fare alcuna attività formativa o lavorativa. Questo aumenta la difficoltà nel tenerli sotto controllo e favorisce sia le situazioni di tensione con gli agenti che i casi di sopraffazione verso i detenuti più deboli. Questa mancanza di regole non va a vantaggio né degli agenti né dei detenuti, visto che negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento costante dei casi di autolesionismo, dei tentati suicidi e delle colluttazioni”. Basti pensare che dall’inizio dell’anno sono stati già 327 i casi in cui uno o più detenuti sono stati accompagnati all’ospedale di Cona per accertamenti o ricoveri.

Giovanni Battista Durante

Gli agenti del carcere di Ferrara spiegano di non essere contrari all’apertura diurna delle celle, ma al modo in cui questo sistema è implementato. “In Italia viene lasciata troppa libertà al detenuto – afferma Durante – che può non far niente per tutta la durata della pena, e se lavora deve ricevere una paga equivalente a chi sta fuori, perché c’è chi ha fatto battaglie sindacali per i diritti dei detenuti. Ma in questo modo per le aziende non sarà mai conveniente investire nelle carceri e infatti i detenuti che lavorano sono una piccola percentuale. In Germania i detenuti vengono pagati due euro all’ora e parecchie industrie collaborano con le case circondariali, perchè conviene. In quel modo gran parte della popolazione carceraria tedesca si mantiene impegnata e la detenzione ha davvero una funzione riabilitativa”.

Ma il vero cortocircuito si verifica secondo il Sappe quando i diritti dei detenuti vengono tutelati più di quelli degli agenti: ad esempio quando, in virtù delle norme sulla privacy, gli agenti si trovano in situazioni critiche coi detenuti senza sapere se sono sieropositivi o portatori di malattie infettive (“ci siamo trovati a che fare con detenuti che ci lanciavano addosso escrementi o spruzzi di sangue infetto”), o quando rischiano conseguenze legali per aver scortato detenuti ammanettati in pubblico. “Ci sono state denunce verso le forze di polizia per aver portato persone arrestate nelle caserme o in carcere ammanettate, perchè secondo qualcuno questo lede la dignità dell’individuo – afferma Durante -. Ma intanto gli agenti devono regolarsi in base a delle circolari ministeriali senza precise indicazioni giuridiche”. Le “spinte ideologiche” in favore dei detenuti si sono manifestate secondo il segretario del Sappe anche in occasione della recente sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani sull’ergastolo ostativo in Italia, che Durante critica senza mezzi termini: “Si chiede all’Italia di migliorare i trattamenti verso i mafiosi che si rifiutano di collaborare con la giustizia, col rischio che il nostro Paese venga condannato a risarcimenti importanti nei confronti di famiglie malavitose. Ergastolo ostativo significa non concedere determinati privilegi a chi rifiuta di collaborare, e mi sembra una cosa giusta. Non si possono fare battaglie per il benessere di persone che hanno sciolto bambini nell’acido e chiamarle battaglie di civiltà, in un paese dove magistrati, agenti e cittadini hanno perso la vita per la giustizia”.

Contro il costante depotenziamento della polizia penitenziaria, sotto organico di circa 7mila uomini a livello nazionale (sui 44mila previsti), Durante insieme al segretario nazionale del Sappe Francesco Campobasso e a quello provinciale Francesco Tucci chiede quindi più investimenti e attenzione a chi nelle carceri ci lavora: “Con la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari (nel 2015, ndr), i nostri agenti si trovano ad avere a che fare anche con situazioni di disagio psichico e psichiatrico. Credo che chiuderli senza una valida alternativa sia stato un errore: si pensava di fare un’operazione di civiltà, perchè effettivamente si trattava di strutture non adeguate, ma occorreva migliorarle invece di tagliarle del tutto. Purtroppo in Italia c’è il vizio di chiudere ciò che non funziona, invece di aggiustarlo. C’è una corrente di pensiero che vorrebbe farlo anche con le carceri e politici convinti che sia un valido obiettivo, ma purtroppo non hanno mai visto davvero come si lavora e quello che succede nelle case circondariali. Il fatto che il 50% degli estremisti radicalizzati espulsi dall’Italia è stato individuato grazie al lavoro della polizia carceraria dimostra che qui dentro si fa un lavoro indispensabile e che va sostenuto. Ma purtroppo chi prende le decisioni sulle carceri è sempre lontanissimo da questo mondo”.

Problemi che secondo il Sappe finiscono poi per riflettersi dalle carceri al resto della società, dove chi torna dopo i periodi di detenzione raramente ha avuto un’esperienza realmente formativa e riabilitante. Per trovare una soluzione a tutte queste criticità non può certo bastare una conferenza stampa, ma per iniziare ad affrontare il problema le indicazioni del Sappe sono chiare: a livello locale occorrono protocolli di intervento precisi, per indicare agli agenti come comportarsi nelle diverse situazioni e per tutelarli legalmente, mentre a livello nazionale e comunitario serve trovare un equilibrio tra i diritti dei detenuti e quelli degli agenti. “Se un agente si rende responsabile di un abuso in carcere va punito – afferma Durante -, ma allo stesso tempo i nostri uomini devono essere messi nelle condizioni di lavorare in un clima di serenità, senza la paura costante di dover pagare sulla propria pelle le conseguenze del proprio lavoro”.

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