Cronaca
9 Ottobre 2019
Pajdek a processo per omissione di soccorso, la giovane coinvolta nell'incidente in aula come testimone: "Mi urlarono tutte le imprecazioni che si possono dire a una donna"

Speronata dagli assassini di Tartari, li inseguì per il numero di targa: “Se l’avessi saputo, forse non l’avrei fatto”

di Ruggero Veronese | 3 min

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“Forse se avessi saputo chi c’era dentro quell’automobile non avrei fatto tutto questo”: si conclude così la testimonianza in tribunale della ragazza che cinque anni fa rimase coinvolta in un incidente stradale con la banda di Ivan Pajdek, che appena il giorno prima aveva rapito e abbandonato in fin di vita Pierluigi Tartari. Era il 10 settembre 2015 e come tristemente noto il cadavere del pensionato 72enne fu ritrovato diversi giorni dopo in un casolare diroccato. Nel frattempo quel pomeriggio Pajdek si recò insieme ai suoi complici Patrik Ruszo e Constantin Fiti all’Ipercoop il Castello, cercando senza successo di fare acquisti con la carta di credito e i documenti di Tartari, rifiutati dai commessi dopo i controlli. Fu uno dei primi e decisivi passi falsi della banda, che capì di aver lasciato una traccia indelebile e dimostrò subito tutto il proprio nervosismo andando a speronare un’altra automobile nel parcheggio del centro commerciale.

Per questo Pajdek, condannato a 30 anni di carcere per omicidio, è a processo anche per omissione di soccorso nei confronti della ragazza al volante dell’altra automobile coinvolta. Che ieri mattina (8 ottobre) è salita al banco dei testimoni per spiegare al giudice l’accaduto. Facendo intendere chiaramente il proprio shock quando venne a sapere che sull’auto che ad un certo punto si era addirittura ritrovata a inseguire lungo via Bologna si trovavano tre persone che avevano appena condannato a morte un uomo e che stavano cercando di spendere la refurtiva.

“Stavo uscendo dal parcheggio dell’Ipercoop dalla parte di via Bologna – spiega la ragazza, oggi trentenne -, guidavo a velocità moderata, ad un certo punto ho sentito che un impatto molto forte a sinistra e ho visto che una macchina mi aveva tamponato sul fianco. Il colpo era stato notevole, io andavo piano ma loro no. Ci siamo fermati e c’è stato un diverbio, mi hanno detto tutte le imprecazioni che si possono urlare a una donna, ma nessuno di noi è sceso dalle auto. Io ho fatto cenno di restare, perché volevo fare la constatazione amichevole. Allora loro hanno fatto cenno di sì con la testa, hanno fatto finta di fermarsi di fronte a me ma poi sono ripartiti molto forte verso l’uscita su via Bologna”.

E a quel punto che la ragazza, ancora convinta di avere a che fare con un semplice pirata della strada, parte all’inseguimento: “Non mi ero segnata la loro targa allora quando li ho visti andare sono partita anch’io e ho accelerato, perché volevo quel numero. Li ho inseguiti per via Bologna e hanno fatto sorpassi avventati, nella rotonda hanno fatto finta di uscire ma poi sono andati da un’altra parte. Io ero arrabbiata e stavo tremando, perché mio padre mi aveva prestato la macchina ed era mezza distrutta, allora li ho inseguiti fino a quando sono riuscita a segnare la targa, ma non avevo idea dei retroscena. Quando nelle settimane successive vidi le foto di Pajdek e degli altri due assassini di Tartari li ho riconosciuti subito, e forse se quel giorno avessi saputo chi c’era dentro l’automobile non avrei fatto tutto questo”.

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