Politica
5 Ottobre 2019
L'arcivescovo di Ferrara e Comacchio ospite a Internazionale con Olivier Roy discute del rapporto tra Stato e Chiesa e dell'uso politico dei simboli religiosi

Il vescovo Perego difende la laicità dello Stato: “Chi usa i simboli per creare contrapposizioni tradisce il cristianesimo”

di Ruggero Veronese | 4 min

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“Quando la difesa della propria identità diventa più una questione di simboli che di comportamenti reali, si rischia di mettere sullo stesso piano il crocifisso e i tortellini”: la battuta del vescovo di Ferrara Gian Carlo Perego sulle polemiche bolognesi raccoglie gli applausi del Teatro Nuovo e riassume efficacemente il suo pensiero su una questione per la quale si potrebbero spendere migliaia di pagine: il rapporto tra Stato e Chiesa.

Un tema su cui del resto si discute da migliaia di anni ma che a partire dal ‘700 sembrava, almeno in Occidente, aver lentamente trovato un suo punto di equilibrio. La quiete però era solo temporanea, dal momento che negli ultimi decenni la questione si è completamente riaperta e in questi anni politica e religione si trovano a sconfinare sempre più frequentemente l’una nello spazio dell’altra. Non è quindi un caso che, proprio nella città dove poche settimane fa tre consiglieri comunali facevano il giro delle scuole per appendere nuovi crocifissi, uno dei dibattiti più attesi del Festival di Internazionale fosse “Il sacro e il profano”, che ha visto Perego dialogare con il politologo e islamista francese Olivier Roy.

La domanda di fondo dell’incontro, introdotto dalla giornalista Stefania Mascetti, era chiara: come mai la politica riscopre i simboli religiosi? Secondo la ‘doppia analisi’ di Perego e Roy, la risposta sta nel desiderio da parte della società europea di ritrovare un’identità ben definite: una necessità legittima ma che rischia di dare adito a diversi fraintendimenti. Uno di questi è la confusione che si crea tra due processi molto diversi tra loro: la secolarizzazione e la decristianizzazione. Per secolarizzazione si intende la laicizzazione delle istituzioni pubbliche, che secondo il vescovo è indispensabile nella società di oggi e ha preso il via in particolare dopo il Concilio Vaticano II dei primi anni ’60. La decristianizzazione è invece la vera e secondo Perego ben più preoccupante perdita dei valori e della fede cristiana in Europa, dove anche in paesi tradizionalmente religiosi come l’Italia la percentuale di persone che va a messa è inferiore al 10%.

L’errore commesso dai politici che oggi esibiscono simboli religiosi sta quindi secondo Perego e Roy nella sovrapposizione e confusione che si crea tra questi due fenomeni, uno positivo e uno negativo, che porta a mettere in discussione addirittura la laicità dello Stato nel tentativo di contrastare la decristianizzazione e di ritrovare un’identità spirituale che sembra perduta. E finendo inevitabilmente per diventare più un motivo di divisione che di unione all’interno di una società europea che oggi è decisamente più ampia e variegata di quando negli anni ’50 nacque l’Unione.

Ma l’identità culturale, secondo Perego, non è qualcosa di fisso e immutabile, ma in continuo mutamento: “L’identità non si costruisce guardando indietro, ma avanti. È qualcosa che nasce dall’incontro con chi è diverso, ed è dall’incontro con gli altri che arriva anche la salvezza. Noi non possiamo parlare di identità senza confrontarci col nuovo: oggi in Italia ci sono un milione e mezzo di musulmani, 300mila buddisti e mezzo milione di atei e noi abbiamo il dovere di confrontarci con loro: l’identità europea di oggi è diversa da quella di 20 anni fa e di quella che ci sarà tra 20 anni, perchè si arricchisce di nuovi elementi che non rinnegano il resto, ma ci ricordano che la storia è molto più ampia di quello che succede nella nostra città o nazione. Questa è la sfida che ha dato origine all’Europa, che metteva insieme realtà molto diverse”.

Il discorso del vescovo ferrarese, più che un richiamo ai politici suona come un consiglio ai cittadini di non farsi conquistare da chi esibisce semplici simboli, ma di osservare i veri comportamenti delle persone e dei politici: “Chi usa la religione per creare una contrapposizione culturale sta falsando i principi del cristianesimo, che sono ispirati al dialogo inter-religioso. Il pericolo oggi è che si faccia passare per cristiano quello che è solamente un uso dei simboli, e quando nella storia sono stati piegati a un uso politico non è mai stato a fin di bene. In questi anni abbiamo visto Bolsonaro in Brasile o i politici delle ex repubbliche sovietiche riscoprire i simboli religiosi, ad esempio per ridare un’identità a popoli che uscivano dai regimi comunisti. Il pericolo è che oggi questi fenomeni possano estendersi anche al resto dell’Europa”.

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