Politica
18 Settembre 2019
Il deputato prende le distanze dai "due blocchi" politici di destra e sinistra e difende la scelta di Renzi: "Veniva contraddetto dai dirigenti anche dopo aver vinto i congressi"

Marattin spiega l’addio al Pd: “Serve un’offerta politica chiara”

Renzi e Marattin (foto Alessandro Castaldi)
di Ruggero Veronese | 4 min

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Renzi e Marattin (foto Alessandro Castaldi)

Renzi e Marattin a Ferrara lo scorso marzo (foto Castaldi)

Sono trascorsi appena 27 giorni ma sembrano passati secoli da quando, in piena crisi di governo, Matteo Renzi dettava la linea del Partito Democratico dai banchi del Senato, a pochi minuti dall’infuocato scambio tra Conte e Salvini. Eppure per il mondo del centrosinistra il cataclisma è arrivato proprio nel momento in cui le principali difficoltà sembravano alle spalle, con una scissione del Pd vista da alcuni come un clamoroso errore di valutazione dell’ex premier, da altri come l’unica logica conseguenza di un clima di tensioni e contrapposizioni interne che non poteva durare per sempre. Tra questi c’è ovviamente anche Luigi Marattin, ex assessore alle finanze a Ferrara e oggi tra i principali volti della nuova formazione renziana, nella quale potrebbe recitare il ruolo di capogruppo alla Camera. Ed è stato proprio Marattin, attraverso un’intervento su Il Foglio e un’intervista alla trasmissione Agorà di Rai Tre, a spiegare pubblicamente le ragioni della scissione.

Il ragionamento di Marattin si basa sulla convinzione del fatto che l’Italia abbia bisogno di una “scomposizione e ricomposizione dell’offerta politica, vessata da un quarto di secolo di precarietà fatta di formazioni eterogenee e instabili, di partiti personali e/o aziendali”. Secondo il deputato infatti occorre ragionare sulla “evoluzione delle categorie politiche”, che hanno subito grossi mutamenti tra la fine della Guerra Fredda e l’inizio di questo decennio, anche alla luce delle conseguenze della crisi economica, della rivoluzione digitale, della trasformazione del mercato del lavoro e di quel “appannamento delle capabilities dello stato nazionale di adempiere pienamente al contratto sociale”. In sostanza l’incapacità delle nazioni moderne di ottemperare ai propri doveri nei confronti dei cittadini è secondo Marattin tra le principali cause della delusione dell’elettorato, e di conseguenza del populismo e del successo dei messaggi utopistici o estremistici.

È di fronte a questo contesto che secondo Marattin l’unica strada per far valere le proprie idee è la creazione di una nuova forza politica. Il deputato infatti vede l’attuale scenario politico diviso in “due blocchi”: da un lato c’è quello “sovranista (Salvini-Meloni) estremamente caratterizzato e pienamente in linea con le, peggiori, dal mio punto di vista, esperienze populiste internazionali”, che “negano alla radice la necessità di cambiamento legata al Grande Shock della Globalizzazione, considerato poco più che un ‘complotto dei poteri forti’, e sostanzialmente promettono un ritorno ai (per loro) fasti degli anni Settanta e Ottanta”. Sul fronte opposto c’è poi un “blocco alternativo, che offre una risposta diversa al Grande Shock: non negazione, ma protezione passiva dell’individuo, anch’essa mirata comunque a eliminare la necessità del cambiamento”: qui secondo Marattin rientrano Pd, Leu e quella parte di M5S che ha remato per un accordo di governo con la sinistra, oltre che esempi internazionali come il leader laburista Corbin in Inghilterra o la deputata democratica americana Ocasio-Cortez.

Luigi Marattin durante l’intervista su Rai Tre

Ad entrambi i “blocchi” Marattin imputa sostanzialmente di essere ancorati a modelli politici del secolo scorso e di non avere una chiara visione di futuro e dei cambiamenti da apportare alla società. “Io non credo – scrive il deputato – che queste due offerte politiche, quasi del tutto esaustive dell’attuale panorama, facciano giustizia non solo della domanda politica presente in Italia, ma anche delle concrete possibilità di guidare il nostro paese verso quel cambiamento individuale e collettivo”. Il deputato prende così le distanze in egual misura dai due schieramenti affermando che “il futuro del modo in cui stanno insieme i livelli di governo di questa Repubblica non sono gli slogan di Salvini o il ‘tutto cambi affinché nulla cambi’ di chi vi si è opposto con ideologia di segno uguale e contrario”. In questo difficile posizionamento, Marattin rigetta però a priori l’idea di interpretare “il famigerato ‘centro moderato’, Sacro Graal da almeno due decenni di ogni nuova avventura politica. Chi ha capito bene il livello della sfida, avrà colto che anche questa espressione è un retaggio di un mondo che non esiste più”. Secondo Marattin “lo stesso concetto di centro è figlio di un segmento politico, delimitato da ‘destra’ e ‘sinistra’, che è stato stravolto”.

Nel corso della sua intervista su Rai Tre, Marattin si concentra invece su uno degli aspetti che per sua stessa ammissione (“è l’obiezione più sensata che ho sentito in questi giorni”) ha sollevato più dubbi anche tra i sostenitori renziani: perchè non far valere queste ragioni all’interno del Pd? Il deputato afferma che “dieci anni fa Matteo Renzi ha portato un’impostazione che non si era mai vista nella politica italiana, con una serie di cambiamenti mai riconosciuti dal centrosinistra: quando dice che è sempre stato visto come un intruso, dice la verità. Renzi ha già vinto due congressi portando avanti queste idee, ed entrambe le volte non è stato possibile affermare all’esterno questa linea, perchè ogni vota che prendeva parola c’erano altri cinque dirigenti del Pd a contraddirlo. Questo spinge a pensare che sia un partito senza una linea politica precisa, anche se legittimata da due congressi. In una fase del genere, il gesto di Salvini in agosto ha avuto almeno il merito di iniziare una scomposizione e ricomposizione dell’offerta politica, ora io ritengo che sia giusto e utile che l’offerta politica di questo paese ora si cristallizzi in posizioni più chiare”.

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