L'inverno del nostro scontento
2 Settembre 2019

Nave Mare Jonio, diario di bordo di Cecilia Strada

di Girolamo De Michele | 3 min

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Pubblico qui il diario di bordo che Cecilia Strada sta tenendo sulla sua pagina fb dalla nave Mare Jonio. Il mio commento è qui, con le parole di un bravo giornalista.
L’immagine è un dipinto di Jovcho Savov (2015)

28 agosto
Abbiamo salvato cento persone sulla Mare Jonio di Mediterranea. Bambini piccolissimi, Naufraghi col ciuccio in bocca. Donne incinte. Il gommone era alla deriva e un tubolare già sgonfio. Li abbiamo visti sul radar, poco prima dell’alba, e siamo arrivati in tempo. Siamo arrivati in tempo: le quattro parole più belle del mondo

30 agosto
Buongiorno dalla Mare Jonio: siamo già sballottati dalle onde. “È quest’onda lunga che dà fastidio”, come dice il comandante. Nella pratica: camminiamo reggendoci a ogni appiglio per evitare di cadere, ma cadiamo lo stesso, specialmente sul ponte bagnato. Combattiamo l’inevitabile senso di nausea e vertigine. Ma la vita a bordo, ovviamente, non si può fermare: dobbiamo prenderci cura di chi è rimasto qui con noi. Ci sono pasti da preparare, bagni da pulire, pazienti da visitare, soluzioni da inventare, persone da rassicurare. “Andrà tutto bene – diciamo sorridendo a chi ha paura – vedrai che presto saremo a terra”. “Sí, ma quando?”, chiedono. E a questa domanda non sappiamo rispondere.
Siamo bloccati qui: l’equipaggio e 34 naufraghi, donne e uomini che nella vita hanno subito ogni tipo di violenza e tortura. Sballottati dalle onde, senza acqua per lavarci e per le altre necessità di bordo da ormai quaranta ore.
Sorridiamo lo stesso: la Mare Jonio ha strappato alla morte 98 persone, certo che sorridiamo. Ma stiamo facendo sempre più fatica.
Buongiorno dal mare.

31 agosto
Qui Mare Jonio: è il terzo giorno che ci bloccano in mare.
Siamo sempre più preoccupati per le condizioni psicologiche dei sopravvissuti, i ventotto uomini e le sei donne che sono rimasti a bordo con noi. Hanno già passato l’inferno: quanto possono reggere ancora, bloccati in mezzo al mare?
In ogni loro racconto, man mano che passano le ore, emergono dettagli che lasciano senza fiato. C’è chi ti fa toccare le cicatrici delle torture: “Senti, senti qui”. C’è chi ti racconta che in Libia ha passato due anni da schiavo. Le violenze sessuali. Le botte con il calcio del fucile. Le frustate, la corrente elettrica. Tutto il campionario dell’orrore.
Poi finalmente il miraggio della libertà, la traversata che diventa subito una tragedia: due notti alla deriva, sei uomini – sei amici – che sono spariti nel buio del mare, molti altri che sono cascati giù e sono stati riportati a fatica sul gommone, niente da mangiare, qualcuno che riesce ad afferrare un pesce al volo. Il gommone comincia a cedere, poi l’alba di mercoledì: le luci della Mare Jonio che si avvicinano, l’arrivo dei soccorsi, la salvezza a bordo.
Ma l’incubo non è finito: siamo ancora qui. In mezzo a quel mare che ha rischiato di inghiottirli.
L’equipaggio sta facendo tutto il possibile – e ci stiamo attrezzando per l’impossibile – per cercare di rassicurarli e tranquillizzarli. Ma quanto ancora può durare? Quanto si può tirare la corda della resistenza di un essere umano, prima che si spezzi? E quando si spezza, cosa succederà?
E di chi sarà la responsabilità?
Queste persone hanno bisogno di sbarcare. Ora.
Non possono più aspettare.

Con Mediterranea Saving Humans, buongiorno dal mare aperto.

1 settembre
Qui #MareJonio. Oggi abbiamo chiesto l’evacuazione medica d’urgenza di una donna e due uomini. La Guardia Costiera è appena venuta a prenderli (grazie).
Questo è il #DecretoSicurezzabis: non fa scendere i naufraghi sulle loro gambe, ma aspetta che stiano così male da dover scendere in barella. È questo lo Stato che vogliamo? È inaccettabile.

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