Attualità
22 Maggio 2019
L'amaro racconto di Alessandro Davì: "Lottato contro pregiudizi e atti vandalici, ma piazza Gobetti è come piazzale Castellina"

Cloister chiude: “Fallimento a causa del degrado e della mentalità ferrarese”

di Elisa Fornasini | 4 min

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“Ci ho creduto davvero tanto, con tutte le mie forze e con tutti i miei soldi, ma è stato un fallimento”. Il sogno di Alessandro Davì, che nel 2015 ha aperto la galleria d’arte Cloister in corso Porta Reno 45, si è infranto contro il “degrado della vicina piazza Gobetti” e la mentalità “provinciale” dei ferraresi.

Lo spazio multifunzionale – non solo galleria d’arte ma anche salone di acconciatura, negozio di prodotti professionali per capelli ed enoteca – ha chiuso definitivamente i battenti. Si è salvata solo l’enoteca, ma è andato in frantumi il progetto complessivo dell’imprenditore ferrarese che avrebbe voluto (e potuto) riqualificare la zona abbandonata del centro storico.

“Il rischio d’impresa è sempre alto ma in questo caso non ho dovuto combattere solo con la concorrenza, un problema comune a tutti i commercianti, quanto lottare contro i pregiudizi delle persone e contro gli atti vandalici continui” ci racconta Davì nel locale ormai deserto.

“Mi sono accorto subito che la città non ha risposto all’offerta: gli incassi erano altalenanti e comunque insufficienti. Si lavorava ‘bene’ due giorni alla settimana (se andava bene) e i restanti giorni il vuoto: vuota la città, vuoto lo spazio, vuota la cassa” commenta l’imprenditore che, a causa delle poche entrate, ha aperto un mutuo e cominciato ad autofinanziare la galleria.

I problemi economici in un mercato di nicchia sono stati aggravati dai preconcetti (“c’è chi non frequenta la galleria perché ritiene che, trovandosi in una piccola città, le opere siano ‘provinciali’ e chi ritiene che sia un luogo riservato alla ‘Ferrara bene’, e lo pensano gli stessi appartenenti alla ‘Ferrara bene’) e da una “situazione di degrado inaccettabile“.

Non ci sono differenza tra piazza Gobetti e piazzale Castellina: spaccio, prostituzione, sporcizia, ubriachezza molesta, vandalismo accomunano queste zone, le più problematiche della città” constata Davì che sente di “essere rimasto solo: siamo stati i primi ad aprire le vetrine sul retro, i primi a non mettere le saracinesche perché chiudersi dentro era già una sconfitta, i primi a ristrutturare il giardino abbandonato e per tutta risposta hanno tentato di fare irruzione in galleria e in enoteca, hanno distrutto più volte i faretti esterni, hanno bucato la distesa esterna, hanno imbrattato di scritte ovunque…”.

Il risultato è che “dopo 38 mostre di artisti locali, nazionali e internazionali e 20 incontri letterari, sono costretto a chiudere tutte le attività” spiega lo stremato imprenditore che ha ceduto l’enoteca al dipendente Luca Lambertini, “che l’ha rilevata e sta cercando di tenere in piedi l’attività anche nel giardino”. E il futuro degli altri spazi? “L’idea è di affittare lo spazio affinché possa essere adibito a nuove iniziative. Stiamo ricevendo richieste da ristoratori quindi immagino aprirà una pizzeria“.

Fallito il progetto di “rivalutare una zona degradata attraverso la creazione di un posto elegante, come poteva essere al Meatpacking District di New York”, l’imprenditore lascia tramontare il secondo “progetto ambizioso che avevo in mente per piazzale Castellina” e rimpiange di aver investito nella sua città natale: “L’idea iniziale era aprire a Trento, là c’è una mentalità più aperta, la gente frequenta più il centro; mi sono pentito di aver scelto Ferrara“.

Il rammarico è comune a tutti i dipendenti – “ho messo a casa una decina di persone, di cui tre non hanno ancora trovato lavoro come il sottoscritto” – ma “in una città vuota non c’è spazio per tutti” è l’ultimo boccone amaro di Davì che ringrazia “chi ci ha sostenuto e chi ha creduto che l’arte possa essere vissuta anche in spazi non convenzionali tramite questa associazione artistica no profit”.

Nessun ringraziamento all’amministrazione comunale, anzi “non ha offerto nessun aiuto per sostenere questo percorso di rigenerazione urbana – rivela l’imprenditore -. Non ho mai chiesto contributi economici ma strumenti per la riqualificazione come la videosorveglianze e la riapertura delle vetrine delle altre attività. Delle tre telecamere promesse ne è stata installata una sola quattro mesi fa, che punta sulla strada quindi serve a poco, mentre le vetrine degli altri negozi sono rimaste chiuse. Dare luce per allontanare il degrado, io ci credevo, è un peccato che sia andata così”.

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