Indiscusso
4 Febbraio 2019

Ferrara è sporca. Come l’Italia!

di Marzia Marchi | 3 min

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Non si può evitarlo, perché se non lo guardi lo pesti. Lo sporco. Al paciug- i dis a Frara. L’immondizia lasciata impunemente vicino ai cassonetti ma ora, grazie al lungimirante sistema a calotta, sdoganata anche per strada. Cartacce e cannucce, cicche e sacchetti di plastica. Scritte sui muri ed erbacce, foglie che intasano le griglie di scolo, lasciti di cantieri che si sgretolano, residui industriali abbandonati e… cacche che forse sono ormai la cosa meno fastidiosa, organica se non altro. Un po’ di gelo o di caldo secco e si cristallizza, con l’acqua si scioglie e concima! Ma il resto no. Il resto s’infiltra nel terreno, si disperde nelle fogne, arriva nei fiumi, insozza il mare che si ingolfa di plastica.

Lo sporco s’infiltra anche nelle nostre menti con una banalità che ci rende assuefatti alle brutture fino alla morte.

E allora può sembrare normale ad un onesto cittadino lasciare accesa la propria auto, parcheggiata in un vicolo, per venti minuti, perché non potendola guidare, in quanto ingessato, ha paura che si scarichi la batteria. La batteria di un Suv nuovo di palla è più importante dei suoi e dei nostri polmoni. Lo sporco ci ha inondato anche il cervello se raccogli la cacca del cane in un sacchetto di plastica e poi lo abbandoni per strada.

Lo sporco di chi imbratta sistematicamente i muri delle case, le fermate degli autobus, le fioriere urbane, lo sporco di chi produce in spregio alla sicurezza, di chi non fa manutenzione e lascia andare in malora – un ponte per esempio? – è una degenerazione del proprio io sociale.

Il malessere di una società che litiga per far prevalere l’uno contro l’altro dove il noi ha perso ogni senso.

Ci sono problemi più grandi può obiettare qualcuno. Ci sono, ma esistono perché sono nati proprio dall’abbandono di questo io sociale.

“La mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro” – scriveva Rousseau, mentre dai tempi del popolo della libertà questa parola è stata interpretata come il diritto di ognuno a prescindere dall’altro. Il privato ha preso il sopravvento sul sociale senza tener conto che non esiste l’uno senza l’altro. Ora viviamo in un mondo di un tutto privato, dai servizi cosiddetti pubblici, che pubblici non son più, al privato arbitrio di licenziare lavoratori e chiudere aziende dalla sera alla mattina, dal privato diritto di possedere ricchezze in maniera illimitata al privato potere di condannare persone a morire in mezzo al mare.

Io non arretro – dice uno che dovrebbe rappresentare lo Stato e in quell’io c’è tutta la morte dell’io sociale a favore dell’egoismo di una carriera, di un potere e di quelli che in lui riconoscendosi non fanno altro che perpetuare l’illusione di contare qualcosa come individui, rendendosi invece merce di un privato disegno.

Senza la capacità di apprezzare il bello che in natura è sinonimo di pulito – poiché la natura non crea rifiuti – siamo condannati al rozzume del brutto che libera la parte peggiore di ciascun essere umano. Chi si esprime grettamente, chi disprezza la cultura, l’istruzione, la creatività, o chi esercita diritti a scapito degli altri – prima gli italiani – sta imbarbarendo l’evoluzione della storia.

Dunque cominciamo a pulire dentro e fuori casa, pulire le strade, i muri e i cuori dalle incrostazioni di guano che corrodono i ciotoli e i sentimenti. Ripuliamo l’aria dalle nostre emissioni avvelenate, che siano tubi di scappamento o scappamento di parole di odio. Togliamo lo sporco che si infiltra nelle falde e ci avvelena l’acqua e nelle vene ci avvelena la convivenza, ovvero gli elementi fondamentali per la nostra sopravvivenza.

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