Spettacoli
15 Dicembre 2018
Intervista allo chansonnier astigiano che questa sera verrà premiato dal Gruppo dei 10. "Ormai si salta, ci si ubriaca, si muore: il profitto vince sulla sensibilità"

Giorgio Conte: “Più trap e meno canzone d’autore? C’è più voglia di sballo che di ascolto”

di Elisa Fornasini | 4 min

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Giorgio Conte (foto tratta dal profilo Facebook)

In 35 anni è passato dalla “Zona Cesarini” a “Sconfinando”. Un viaggio nella musica che ha consacrato Giorgio Conte tra i grandi baluardi della canzone d’autore italiana. Ma che valore ha questa eredità in un mondo che sembra andare in tutt’altra direzione? Lo chiediamo direttamente allo chansonnier astigiano che questa sera sarà allo Spirito di Vigarano per ricevere il premio “Tutte le direzioni 2018” assegnato dal Gruppo dei 10.

Il riconoscimento è conferito ogni anno a un personaggio che si è distinto per aver contribuito in piena autonomia e indipendenza intellettuale alla crescita culturale del nostro Paese. Si ritrova in questa definizione?

Forse è una presentazione un po’ eccessiva, ma a caval donato non si guarda in bocca…

È sempre uno dei protagonisti della Storica e Nuova Canzone d’Autore. Qual è l’importanza per lei di partecipare a un festival che vuole dare nuova voce alla canzone d’autore italiana?

Mi sono sempre piaciuti i primi cantautori: Paoli, Tenco, De André, quelli della vecchia guardia insomma… ma ho l’impressione che ci sia qualche scintilla nell’aria di cantautori ispirati, come Leonardo Veronesi per fare un esempio locale. Ben vengano queste occasioni per dare spazio ai giovani cantautori, ma se deve nascere un nuovo astro sulla scia del grande cantautorato è perché il destino lo vuole. Le situazioni di incontro possono servire se ma se uno ha la stoffa viene fuori anche da solo.

E come è cambiata la musica in questi anni? Ormai i giovani sembrano ascoltare solo il rap, anzi il trap. 

È così, non c’è più attenzione per la melodia e per il ritornello. Ormai si balla, si salta, ci si ubriaca, si muore in situazioni che con la musica non hanno niente a che fare. La smania di cercare il singolo di successo c’è sempre stata ma c’è troppa proposta musicale, in questa marmellata è difficile farsi notare con un lavoro organico che possa smuovere interesse e curiosità. E io sto lavorando proprio in questo senso.

Ha un nuovo progetto in cantiere? Può svelarci qualcosa? 

Sono alla ricerca di un brano che possa creare l’attenzione di cui ho ancora bisogno. E forse ce l’ho: sto lavorando a un nuovo brano misto tra recitato, non rap ma più filastrocca, e frase musicale lirica. Sto con i piedi in due scarpe ma la sperimentazione è necessaria, bisogna lavorare sulle sonorità perché voce e chitarra da sole non ce la fanno più. Prima di svelare altro devo svelare il significato a me stesso, ma intanto mi aiuta a stare vivo.

Cosa ha da raccontare il “Contestorie” (titolo dell’album del 2003, ndr) oggi rispetto a 15 anni fa?

Credo di aver già raccontato tutto, sono più in una fase contemplativa sul viale del tramonto. Penso più all’esistenza rispetto alle suggestioni artistiche. Sono combattuto se andare avanti o fermarmi, tirare i remi in barca e prepararmi al grande salto. Ma qui andiamo troppo sul filosofico…

Torniamo alla musica allora, ha delle canzoni a cui è particolarmente legato e perché?

Sicuramente “Deborah” che ha aperto a me e mio fratello le porte dell’interesse discografico e “Una giornata al mare” perché è stato un momento di spontanea collaborazione tra me e Paolo, io ho scritto la musica e lui le parole ed è stato naturale comporre a quattro mani questa canzone. E poi altre nuove che non conosce nessuno (ride) come “Stringimi forte” riarrangiata nell’ultimo album Sconfinando. I brani del nuovo disco sono stati registrati con l’orchestra Duchessa di Parma, con cui suonerò il prossimo 27 febbraio all’auditorium di Mozart di Ivrea. In questi concerti mi presento con una veste più elegante rispetto al grunge e country di prima, mi ha prestato lo smoking mio fratello (ride).

Prima ha citato la strage di Corinaldo. Cosa pensa di questa tragedia?

C’è un giro di speculazione sotto, si pensa solo al profitto, si dice ‘chissenefrega vendiamo più biglietti dei posti disponibili’ e c’è poca sensibilità. Poi succedono queste cose. A un concerto sinfonico con un po’ meno di gente sicuramente non succedeva, ma sai che barba per i giovani… Il problema è che c’è più voglia di sballo che di ascolto e l’ascolto fa meno male dello sballo.

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