Cronaca
20 Novembre 2018
Nel processo sull'aumento di capitale 2011 consulenti tecnici a confronto sulla complicata questione delle sottoscrizioni reciproche

Carife e le ‘partite di giro’ con CariCesena e Valsabbina

di Daniele Oppo | 7 min

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Le sottoscrizioni incrociate di azioni tra il gruppo Carife, CariCesena e Banca Popolare Valsabbina e la loro regolarità sono state al centro della lunghissima udienza di lunedì 19 novembre del processo sull’aumento di capitale del 2011.

Ancora una volta i protagonisti sono stati i consulenti tecnici di Procura – sempre Giuliano Iannotta, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università Cattolica di Milano –  e difese che hanno provato a dare un’interpretazione di quelle sottoscrizioni reciproche segnalate dalla Banca d’Italia negli atti ispettivi post aumento di capitale. Nell’ipotesi accusatoria quelle sottoscrizioni anziché far crescere effettivamente il capitale sociale di Carife – come richiesto da Bankitalia – sono servite invece per formarlo in maniera fittizia, per fare in modo di far figurare un aumento da 150 milioni quando, nella realtà, Carife stessa faceva uscire disponibilità economica verso le due banche, per importi sostanzialmente coincidenti. Una sorta di partita di giro. L’incrocio di sottoscrizioni in sé non è una cosa illecita, infatti questo processo farà anche da test sull’interpretazione della norma, ed è questo che rende l’imputazione formulata dalla procura uno dei punti più delicati dell’intero processo, tanto che dal punto di vista giuridico sembra quasi esserci consenso tra i consulenti – quello della Procura compreso – sul fatto che le operazioni formalmente siano state regolari, anche se poi le posizioni divergono in realtà quando si tratta di interpretarle nel contesto specifico di Carife.

“Non è che le società non possono acquisire partecipazioni reciproche – specifica Iannotta -. Il riferimento è all’aumento di capitale, con immissione di nuove azioni. È un dettaglio che rileva. Se le azioni sono già in circolazione vuol dire che sono già state emesse e che il capitale è già entrato nella pancia della società”. Per la Banca d’Italia sono però operazioni rilevanti in ottica di vigilanza “perché – osserva Iannotta –  la mia lettura è che nella prospettiva di Bankitalia questa non si intendesse dire ‘aumenta di 150 milioni, fallo sottoscrivere da altre banche e poi tu sottoscrivi le loro azioni’”.

“Pur nel rispetto formale delle regole – afferma ancora il professore -, la sottoscrizione reciproca ha determinato un aumento di capitale delle banche coinvolte, in assenza di un effettivo rafforzamento patrimoniale delle banche stesse. Il rispetto formale delle disposizioni di vigilanza è verificato. Siccome l’obiettivo di Bankitalia era diverso, allora questo rafforzamento patrimoniale non è effettivo perché le risorse sono usate per comprare partecipazioni, in assenza di specifici accordi di collaborazione: qual è il senso strategico? Perché è stato fatto? Perché probabilmente – si risponde Iannotta – raggiungere i 150 milioni non era una cosa facile e chi gestiva Carife in quel momento ha cercato di bussare a tutte le porte possibili”.

Parliamo di 5 milioni nell’operazione con CariCesena e 10 milioni nell’operazione Valsabbina.

Lo “sconto” a CariCesena. Con CariCesena sembra essere avvenuto questo: Carife ha acquistato 5 milioni di azioni ‘proprie’ della banca romagnola – ovvero azioni già emesse da Caricesena e che la stessa banca aveva nella sua disponibilità –  a fronte della sottoscrizione dell’aumento di capitale per un importo sostanzialmente identico. Se l’operazione si fosse fermata qui non ci sarebbero stati problemi, anzi, “c’è un incremento del Tier-1 per entrambe”, rileva il consulente (ricordiamo che Bankitalia aveva chiesto a Carife di rafforzare il proprio Tier-1 arrivano all’8%). Ma, rileva ancora Iannotta, “la sottoscrizione si fa con la condizione di un prestito obbligazionario”.  C’è infatti una delibera del Cda di CariCesena che, a fronte dello scambio reciproco di azioni per un importo di pari valore, fa in modo che Carife in cambio si impegni anche a sottoscrivere un’obbligazione (legata a un derivato) sulla quale riceverà un tasso d’interesse più basso di quello di mercato. Perché? “Il loro ragionamento è che vali di meno – spiega il consulente della Procura -. Io Caricesena devo essere ristorato della differenza che loro hanno quantificato con 800mila euro: allora viene concepita l’operazione che conferma la logica del ristoro che Cariesena intenderebbe avere, perché il dg ritiene che l’alternativa percorribile a un rimborso con un funzionario Carife che consegna una valigia piena di soldi possa essere l’emissione di un prestito obbligazionario in offerta a Carife a un tasso inferiore a quello di mercato. È il modo con cui far rientrare questi soldi: Carife riceve meno interessi sull’obbligazione”. Qui poi si innesta il contratto lo swap per convertire il tasso variabile dell’obbligazione in un tasso fisso – sempre sotto il livello da pagare –  e con i soldi dell’obbligazione Caricesena acquista Btp, ricevendo un tasso fisso: il “risarcimento” o “lo sconto” come lo ha chiamato Iannotta, viene dalla differenza. Un’operazione difficile da capire, soprattutto sulla base dell’accordo di scambio alla pari, e infatti, al di là della liceità o meno, il commento finale del consulente della Procura è “se sono sottoscrittore di Carife e scopro che Caricesena ha sottoscritto le azioni a meno di 21 euro non so…”.

Valsabbina. L’operazione Valsabbina è invece meno lineare e coinvolge il gruppo Carife (Carife, Carife Sei e la controllata Banca di Romagna). “Valsabbina – spiega Innotta -sottoscrive poco sotto i 10 milioni di euro e Carife ha sottoscritto un importo analogo, ma in maniera differente: in parte azioni proprie (3 milioni), in parte azioni già in circolazione (5,6 milioni) e in parte azioni di nuova immissione in occasione dell’aumento di capitale di Valsabbina (1,1 milioni)”. Qui l’eventuale contrasto con la normativa che vieta la sottoscrizione reciproca di capitale (in fase di aumento) vi sarebbe dunque solo per una frazione dell’importo totale. Ma va ricordato che le prime due operazioni compiute da Carife, ovvero l’acquisto di azioni proprie e sul mercato di Valsabbina, sono state compiute a partire da luglio 2011, in coincidenza con la deliberazione del Cda di Valsabbina di partecipare all’aumento di capitale della cassa ferrarese. Quegli acquisti sono stati di fatto funzionali a Carife per poter ottenere il diritto d’opzione nel successivo aumento di capitale di Valsabbina, al quale non avrebbe potuto altrimenti partecipare. È immaginabile, dunque, che per la Procura si tratti di un’operazione unica di sottoscrizione reciproca.

Ma qui il consulente della difesa Valsabbina – il professor Paolo Gualtieri, ordinario di Economia del mercato mobiliare, anche lui come Iannotta all’Università Cattolica di Milano –  fa notare che in ogni caso non sarebbe un’operazione censurata dalla legge perché entrambe le banche avevano delle riserve disponibili e, in questo caso, la dottrina è pacifica nel ritenere non vietata la sottoscrizione reciproca: “Se ci sono riserve disponibili non è vietata la sottoscrizione reciproca di azioni – spiega Gualtieri -. La perdita esiste solo se le due società (o almeno una di loro) sono senza riserve disponibili. È pacifico che se ci sono riserve disponibili la sottoscrizione reciproca non è vietata.  La 
Banca d’Italia infatti non ha fatto nulla”.  “Questa acquisizione reciproca – afferma il professore – è avvenuta in un quadro di collaborazione ampio tra le banche, certamente concordata. Esiste un do ut des a prescindere dalla reciprocità delle operazioni che inizia con l’acquisizione del Credito Veronese da parte di Valsabbina”.

Tutti i consulenti delle difese che si sono espressi sul punto delle sottoscrizioni reciproche hanno comunque rilevato che, anche se ci fossero state e fossero state illegittime, avrebbero avuto un peso molto, molto basso, meno dell’1% sul valore totale dell’aumento di capitale e che sarebbe davvero arduo far discendere da esse la successiva bancarotta di Carife.

Tra i consulenti tecnici che sono stati sentiti, quello della difesa di Daniele Forin (ex dg di Carife) è ritornato su un tema discusso la volta scorsa, ovvero la regolarità del prospetto informativo. Dal suo punto di vista – quello di ex funzionario di Bankitalia – era pienamente idoneo a rappresentare il rischio, tant’è che a affermato che lui non avrebbe investito. Il consulente ha anche spiegato che se la Banca d’Italia avesse voluto far assorbire Carife da un’altro istituto più grande – ipotesi suggerita da Iannotta la volta scorsa – lo avrebbe detto esplicitamente.

Si ritorna in aula il 28 novembre: quella del 23 salterà con altissima probabilità per via dell’astensione degli avvocati, ed è stata rinviata anche quella in programma per il successivo 26.

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