Cronaca
8 Novembre 2018
Al centro dell'ultima udienza le strategie promozionali della banca durante la vendita di azioni del 2011. Bertaglia: "Dovevamo rendere più leggibile ciò che era troppo tecnico"

Carife, quando la comunicazione ebbe la meglio sui bilanci: in aula lo ‘spin doctor’ dell’aumento di capitale

di Ruggero Veronese | 4 min

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Nel 2010 la Cassa di Risparmio di Ferrara aveva bisogno di un drastico cambio di immagine e di tornare a essere vista come la ‘banca del territorio‘ per eccellenza, anche per contrastare la rapida avanzata di Caricento. E di lasciarsi così alle spalle gli anni della gestione Murolo, che portarono ad ambiziosi ma poco proficui investimenti lontani dalla città estense, come nel caso dell’operazione Vegagest a Milano.

Il nuovo cda diretto da Sergio Lenzi e Daniele Fiorin (presidente e direttore generale) affidò l’incarico alla società di comunicazione Segest, che insieme all’ufficio stampa di Carife curò tutte le campagne di informazione alla clientela e alla stampa nella fase dell’aumento di capitale del 2011.

Oggi, sette anni dopo, proprio quella campagna di informazione e comunicazione è uno dei principali elementi da chiarire nel processo sul crac della banca: il tribunale deve infatti appurare se chi acquistò le azioni Carife era davvero in grado di percepire i rischi connessi all’investimento e di valutarne le vere conseguenze, anche alla luce delle strategie di comunicazione e delle informazioni trasmesse alla stampa. Sul banco dei testimoni arriva quindi il turno di Vico Bertaglia, all’epoca amministratore delegato di Segest e interlocutore diretto dei dirigenti di Carife, con i quali coordinava il contenuto delle comunicazioni verso l’esterno.

Comunicazioni che oggi la procura giudica fin troppo ottimistiche e rassicuranti, se non altro visto il crac che tre anni fa portò all’azzeramento di tutti i titoli azionari. Nell’aprile del 2011, nel descrivere la situazione patrimoniale corrente, i comunicati stampa di Carife parlavano di un “rafforzamento dei parametri patrimoniali, in accordo con gli accordi di ‘Basilea 3’” e del “consolidamento strategico sul piano industriale”: da chi provenivano quelle informazioni? Alla domanda della pm Barbara Cavallo, Bertaglia risponde che la Segest si limitava a produrre una bozza dei comunicati stampa, che andava poi completata nelle cifre e nei dettagli tecnici dai tecnici di Carife, che facevano riferimento principalmente al direttore generale Daniele Fiorin e al responsabile della direzione bilancio Davide Filippini.

“Non faceva parte dei nostri compiti – afferma il testimone – conoscere il contenuto dei dettagli tecnici, ad esempio cosa è previsto dagli accordi di Basilea 3: ci limitavamo a recepire le comunicazioni dei tecnici. Il nostro compito era rendere più leggibile ciò che era molto tecnico e burocratico“.

Ma in questa sorta di coordinamento tra tecnici finanziari e professionisti della comunicazione, il rischio è che le esigenze promozionali prendano il sopravvento sulla precisione delle informazioni. E secondo la procura un esempio calzante è il comunicato stampa del luglio 2011, in cui venivano sintetizzati due concetti piuttosto contrastanti: “Moody’s ha abbassato il rating di Carife, ma condivide l’aumento di capitale”. A questo proposito la pm legge in aula uno scambio di e-mail private tra l’avvocato Danilo Quattrocchi (all’epoca consulente di Carife) e Bertaglia, in cui il legale suggerisce di non stemperare la notizia, senza dubbio negativa, del declassamento di Carife. “Forse è un po’ forte dire che l’agenzia di rating condivide l’aumento di capitale, se io fossi il legale di Moody’s glielo farei rettificare”, legge la pm in aula, per poi passare alla replica dello stesso Bertaglia a Quattrocchi: “Utilissimo il suo alert, ma riterrei di procedere, considerato l’ambito di diffusione soprattutto territoriale del comunicato”.

Uno scambio di opinioni su cui Cavallo vuole vederci chiaro e incalza il testimone sul motivo per cui gli addetti alla comunicazione di Carife abbiano voluto trasmettere un’immagine dell’agenzia di rating Moody’s in sostanziale accordo con le strategie di Carife: “Che senso ha – chiede la pm – parlare dell’ambito di diffusione territoriale del comunicato? Significa che Moody’s non ne avrebbe preso conoscenza perché sarebbe stato diffuso solo a Ferrara?“. Ma Bertaglia rimanda ogni spiegazione sul contenuto dei comunicati ai tecnici di Carife e in particolare a Fiorin e Filippini, ribadendo di aver agito sostanzialmente come esecutore di strategie e decisioni che venivano condivise nel corso di riunioni coi dirigenti della banca.

Non si è però parlato di sola comunicazione durante l’ultima udienza: in aula vengono chiamati infatti anche due dirigenti di Valsabbina (istituto presente come parte civile nel processo) per chiarire i dettagli delle ‘partecipazioni incrociate‘ tra le due banche durante l’aumento di capitale del 2011, che secondo la procura potrebbero configurare un aumento di capitale fittizio.

Carife avrebbe infatti ‘restituito’ alla Valsabbina i 3,5 milioni versati da questa nell’acquisto di azioni, attraverso un azione analoga e speculare e vanificando così ogni incremento patrimoniale dovuto alla vendita di quei titoli. Secondo Tonino Fornari, all’epoca dirigente di Valsabbina, la partnership tra le due banche era avviata ed efficiente già prima del 2011, e fu quindi piuttosto naturale per il suo istituto rispondere all’appello di Carife, mentre altre operazioni (come un possibile acquisto del Credito Farnese) finirono per non concretizzarsi e il testimone ha dichiarato di non essere a conoscenza di eventuali accordi tra i due cda su eventuali partecipazioni incrociate.

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