Cronaca
16 Ottobre 2018
Nel processo per il crac sentiti gli advisor che nel 2010 redassero il piano industriale e valutarono il valore delle azioni

Crac Carife. “Previsti molti licenziamenti fin da subito, scelta strada più morbida”

processo carife
di Daniele Oppo | 4 min

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processo carifeÈ stata un’udienza dedicata alle cose un po’ più tecniche, relative alle fasi precedenti l’aumento di capitale del 2011, quella di lunedì 15 ottobre nel processo per il crac Carife.

Sul banco dei testimoni, infatti, sono salti un funzionario del Boston Consulting Group (Bcg) che redasse il piano industriale nel 2010, uno della Ernst & Young che si occupò di dare una valutazione tecnica sul valore delle azioni, e un ex dipendente Carife dell’ufficio negoziazione e mercati che si occupò dell’acquisto di azioni della Banca Valsabbina.

Il primo a deporre è stato Guido Giuseppe Crespi, del Bcg, che ha parlato delle fasi di redazione del piano industriale di Carife, quello poi consegnato alla Banca d’Italia, eseguito nell’autunno del 2010 per gli anni fino al 2014, utilizzando i dati forniti dalla banca e prendendoli per buoni: “Il nostro incarico escludeva la verifica della correttezza dei dati che ci venivano forniti”.

Crespi ha dichiarato di essersi interfacciato principalmente con Sergio Lenzi e Daniele Forin, rispettivamente presidente del Cda e direttore generale di Carife. Da Davide Filippini – responsabile della direzione Bilancio – aveva invece ricevuto documenti utili per la redazione del piano.

Avevamo elaborato due scenari,  l’obiettivo era costruire una traiettoria industriale – ha spiegato Crespi -. Lo scenario aggressivo prevedeva fin da subito molti licenziamenti. Fu scelta una strada un pochettino più morbida”.

Insomma, il management di Carife scelse di non procedere subito ai tagli corposissimi – anche dal punto di vista sociale, come ammesso anche dal consulente – che in previsione avrebbero portato a un risparmio di 4 milioni di in quattro anni solo di personale, ma di adottare una linea più graduale.

“La cassa era piccola, chiedevamo trasformazione culturale, rigore e disciplina, velocità perché il conto economico era negativo e non può restare così per troppo anni”, ha spiegato ancora l’advisor.

Un dato su tutti per capire la necessità di un’inversione di rotta: il costo del rischio lasciando invariate le cose era di 275 milioni di euro per Carife, a fronte dei 110 milioni di euro di quello rilevabile sul mercato.

Quello era però un piano ad uso esclusivamente interno, così come stabilito dal contratto (al costo, peraltro, di oltre 400mila euro). Finì invece anche nelle mani di Bankitalia per una valutazione, non si è capito bene se in maniera legittima o meno, probabilmente sì come lasciato intendere dall’advisor. Ma si era già nel 2011, a situazione molto cambiata soprattutto dal punto di vista macroeconomico. Carife, ha specificato il consulente, non chiese che venissero aggiornate le stime, nonostante fosse stato suggerito di farlo dato che il piano si basava a sua volta su valori stimati per il 2010 avendo in mano – al momento della sua redazione – solo i dati del primo semestre.

È stata poi la volta di Francesco Pau della Ernst & Young, che effettuò una valutazione del valore delle azioni Carife (una fairness opinion per la precisione), mantenendo rapporti esclusivamente con Filippini. “Il valore dell’azione venne già determinato dalla banca  – ha spiegato -, noi lo abbiamo ricostruito con metodologie usate al tempo e abbiamo ricostruito il percorso di determinazione. Il tutto sulla base dei documenti forniti da Carife, il nostro incarico escludeva verifica della correttezza dei dati che ci venivano forniti”.

Come sopra, dunque, e come sopra anche l’uso esclusivamente interno della consulenza (costata 136mila euro ed effettuata in circa due settimane tra novembre e dicembre 2010). Il management chiese e ottenne di poterlo diffondere nel maggio del 2011, ma con una serie di avvertenze: non era un lavoro destinato a terzi e, soprattutto, non era aggiornato per cui “tutto ciò che nel frattempo era successo avrebbe potuto influire significative sulle conclusioni del nostro lavoro. Nessuno ci chiese di fare una nuova valutazione e non ci venne chiesto aggiornamento”.

Infine è toccato a Massimo Pampolini, al tempo responsabile dell’Ufficio negoziazione e mercati di Carife che ha spiegato molto in breve come avvennero le acquisizioni di azioni della Banca Valsabbina, coinvolta, secondo la procura, in un’operazione illecita di scambio reciproco di azioni. L’ufficio eseguiva gli ordini di acquisto decisi dalle strutture superiori, facenti capo al direttore finanza Michele Sette. Secondo quanto riferito da Pampolini, il valore delle azioni acquistata corrispondeva a all’1% del monte titoli in mano a Carife al tempo, che “aveva un controvalore di un miliardo di euro”.

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