Attualità
8 Ottobre 2018
Sala Estense gremita per ascoltare i fondatori della rivista Logic Moira Weigel e Ben Tarnoff, ospiti del festival di Internazionale a Ferrara

Dalla tecnologia democratizzante al nuovo feudalesimo di Big Tech

Da sinistra: Giovanni De Mauro, Moira Weigel e Ben Tarnoff
di Daniele Oppo | 4 min

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Da sinistra: Giovanni De Mauro, Moira Weigel e Ben Tarnoff

Da sinistra: Giovanni De Mauro, Moira Weigel e Ben Tarnoff

Dall’idea di tecnologia democratizzante al nuovo feudalesimo di Big Tech, in cui i lavoratori, però, potrebbero essere presto i protagonisti di un nuovo cambiamento. È stato un percorso critico sul ruolo dei giganti della tecnologia l’incontro di domenica pomeriggio al festival di Internazionale, in una Sala Estense piena fino all’ultima seggiola e con tante persone in piedi, per ascoltare la ricercatrice Moira Weigel e il giornalista Ben Tarnoff, fondatori della rivista Logic, moderati da Giovanni De Mauro.

Il titolo ‘Per un pugno di dati’ si rivela un poco fuorviante, perché non sono i dati, la privacy, i troll e le fake news il vero cuore del discorso – seppure lo siano in maniera implicita – quanto invece il ruolo sempre più determinante delle grandi compagnie tech, come Google, Facebook, Apple e Amazon nella nostra vita quotidiana, perfino nell’espressione dei diritti e delle libertà democratiche. Quella di Weigel e Tarnoff non è però una tirata luddista antitecnologica, è piuttosto un’analisi di come chi oggi è in grado di controllare la tecnologia e la sua diffusione, sia anche in grado di controllare tanti, troppi, aspetti della nostra vita, su una premessa che si è rivelata un tradimento: non più democrazia, ma più controllo privato slegato dal controllo democratico.
L’esempio – quello che va al di là della diffusione di miliardi di dispositivi tecnologiche a portata di qualunque tasca – lo fa De Mauro, l’ospedale principale di San Francisco, nel cuore della Bay Area che ospita la mitica e mitizzata Silicon Valley, oggi si chiama “Zuckerberg San Francisco General Hospital”, dal fondatore e Ceo di Facebook. Per Weigel è una chiara espressione del “feudalesimo tecnologico nella Silicon Valley”, dove “le strutture pubbliche vengono privatizzate, trasformate e reinventate: queste risorse vengono poi tolte dal controllo democratico”. “È tecnologia o capitalismo?” si chiede Tarnoff.

E sempre queste aziende controllano servizi che oggi in molti vedono come vere e proprie infrastrutture, scorgendo finalmente anche quanto siano ‘politiche’ e non neutre le piattaforme digitali: “È un cambiamento importante, che porta alla privatizzazione”, sostiene Tarnoff, anche perché “la tecnologia di cui parliamo nasce dalla ricerca finanziata a livello pubblico”
Se Big Tech è in qualche modo “rotta”, la soluzione non può essere quella “dispiaciuta” che viene dal suo interno quando propone “soluzioni parziali”, come le definisce ancora Tarnoff o, come sottolinea Weigel, quando propone soluzioni di tipo “medico” a un problema che va affrontato in maniera politica: “Siamo critici al ricorso alle metafore mediche per descrivere il nostro rapporto con la tecnologia. Diventa paternalistico e disumanizza la questione: quando si è ammalati non si pensa al processo democratico, si cerca una soluzione medica, come lasciare lo smartphone fuori dalla camera da letto o l’abbassare la luce del display”. Un modo questo, dice Tarnoff, di fornire “una soluzione tecnocratica, dall’alto verso il basso, in un tentativo di consolidare di nuovo il consenso verso le tecnologie che ci saranno in futuro”.

Oggi, soprattutto dopo l’avvento di Trump e la morte dell’idea di una Silicon Valley (allargata) progressista come era apparsa sotto Obama, anche il mondo dell’informazione è più critico verso la presunta neutralità democratica della tecnologia. Ma l’alternativa non è quella di distruggere le aziende, di negarne il valore o il diritto al profitto. “La nostra alternativa – spiega Tarnoff – è la democratizzazione della tecnologia”, limitando semmai il potere della Silicon Valley. Un primo passo, suggerisce ancora Tarnoff, è quello della normativa antitrust che negli Usa è molto forte: “Le proposte mirano a ridurre il potere di mercato. È un movimento ‘tradizionale’ di contenimento del potere e anche se non credo che la sua suddivisione sia la soluzione migliore, non cambia molto se c’è un solo Facebook o ce ne sono cinque, l’antitrust è comunque un primo passo”, sostiene il giornalista. Senza dimenticare, come rimarca Weigel, che “negli Usa le leggi antitrust sono poste a tutela del consumatore, ma noi qui siamo il prodotto”.

Ma, forse, il vero fattore democratizzante sarà interno, e saranno i lavoratori a cambiare le cose, anche perché negli ultimi due anni circa si è assistito a una forte crescita della sindacalizzazione e una progressiva sempre maggiore presa di coscienza di chi è impiegato nel settore tech negli Usa. “I lavoratori hanno un potere di controllo enorme”, afferma De Mauro, e Tarnoff corrobora la sua affermazione: “È un punto cruciale di questa fase del capitalismo. La distribuzione del lavoro oggi riguarda tutto il mondo e in certi nodi i lavoratori hanno un grande potere, come chi lavora nei container dei porti dove passano le merci”. Basta un giorno di sciopero per creare problemi seri alle aziende, come ad Amazon ad esempio. “I lavoratori di Google – continua il giornalista – hanno imposto di non rinnovare un controverso progetto dell’azienda con il Pentangono”.

Non sarà dunque una battaglia solo per il salario o per strappare condizioni contrattuali migliori, ma “la solidarietà tra lavoratori – sostiene infine Tarnoff – avrà il fine di creare le condizioni per l’attuazione di una vera democrazia”, quella che, a dispetto delle sue premesse originarie, “è stata limitata e privatizzata dalla cyber-cultura”, chiude Weigel.

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