Economia e Lavoro
25 Settembre 2018
Le segnala uno studio dell'osservatorio Ires della Cgil: dati positivi nei grandi centri e nei capoluoghi, ma le campagne stentano a entrare nella ripresa

A dieci anni dalla crisi, Ferrara non ha ancora recuperato il terreno perduto

di Ruggero Veronese | 5 min

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Una notizia buona e una cattiva. Partiamo da quella buona: l’Emilia Romagna è tornata ai livelli di performance economica che aveva nel 2009, all’inizio della crisi economica. Quella cattiva è che due province non riescono a reggere il passo della media regionale: Ferrara e Piacenza. Sono questi i dati che emergono dalle ultime rilevazioni dell’Ires, l’istituto di ricerca e statistica della Cgil che ha condotto un confronto tra l’attuale situazione economica regionale e quella di dieci anni fa.

Un’analisi da cui emerge soprattutto una tendenza generale e talmente costante da sembrare una regola. Di fronte alla recessione, il divario economico tra aree più e meno ricche si allarga costantemente: ricchezza e lavoro vanno a concentrarsi nelle zone e nelle città dove già erano più presenti, a discapito dei territori circostanti. Quindi, così come molti disoccupati ferraresi finiscono per trovare lavoro a Bologna – contribuendo alla crescita economica del capoluogo regionale -, quelli delle campagne abbandonano paesi e frazioni per trovare lavoro nelle imprese ferraresi. Dalle campagne alle città, dalle città ai grandi capoluoghi: i dati degli ultimi dieci anni mostrano come la crisi abbia imposto una decisa accelerata al fenomeno dello ‘svuotamento’ dei piccoli centri. E Ferrara da questo punto di vista rappresenta un po’ una stazione intermedia: abbastanza grande ed economicamente vivace da compensare le perdite occupazionali nelle campagne circostanti, ma non abbastanza da evitare che un quinto della sua forza lavoro (circa il 21%) si disperda in altre province sotto forma di pendolari.

Ma vediamo i dati dell’Ires, a partite da quelli sul valore aggiunto regionale, che indica la ricchezza prodotta in tutti i settori economici, pubblici e privati. Nel 2017 tre province hanno superato i livelli di dieci anni prima: Bologna (al 104,69%), Parma (102,63%) e Ravenna (101,5%). Per Modena, Forlì-Cesena e Rimini il dato è tra il 97% e il 100%, Reggio Emilia si aggira attorno al 95%, mentre decisamente più in basso troviamo Piacenza (88,3%) e Ferrara (87,2%). La provincia estense è fanalino di coda anche per quanto riguarda il reddito disponibile, che vede Ferrara ancora al di sotto dei livelli pre-crisi (98,5%), preceduta da Forlì, Piacenza, Bologna, Ravenna e Parma, che ha raggiunto il 107,5%.

Va un po’ meglio per quanto riguarda il tasso di occupazione, che a Ferrara registra il 67,7%: inferiore al 69,3% del 2007, ma meglio rispetto a province come Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini che oggi segnano rispettivamente il 65,8%, 66,5% e 63,3%. A guidare questa graduatoria è ancora una volta Bologna (71,8%), seguita da Piacenza, Parma, Modena e Reggio Emilia. Ritrovare Piacenza e Ferrara in buoni piazzamenti sul fronte dell’occupazione, ma assai più distanti per quanto riguarda la produzione economica, può essere visto come indizio del pendolarismo verso i grandi centri descritto inizialmente.

Giuliano Guietti

“È un fenomeno abbastanza insito nei meccanismi di mercato – conferma il presidente di Ires ed ex segretario della Cgil di Ferrara Giuliano Guietti -, anche se esistono politiche pubbliche con cui si poteva limitare, e in alcuni casi si è riusciti a limitare, questo divario, che è stato anche aggravato dal terremoto del 2012. Da un punto di vista economico e sociale Ferrara è stata sempre molto legata all’economia bolognese, che in questi anni di crisi è tra quelle che ha retto meglio, e questo di certo ha aiutato anche la provincia estense. Quello che preoccupa maggiormente per Ferrara però è il tasso un tasso di dipendenza strutturale che indica un sistema difficilmente sostenibile a lungo termine”.

La dipendenza strutturale è il rapporto tra persone in età lavorativa (14-65 anni) e quelle troppo giovani o troppo anziane per poter alimentare il livello di produzione del sistema. La provincia ferrarese è notoriamente molto anziana e questo indice tocca localmente addirittura il 63,2%, precedendo il 61,1% di Ravenna, mentre dalla parte opposta della graduatoria troviamo il 56,6% di Rimini. A livello statistico, significa che su dieci persone nella forza lavoro ferrarese, ce ne sono 6 (6,32 per esattezza) che dovranno ‘pesare’ sul sistema a livello di produzione, welfare e servizi. Una situazione “molto preoccupante in prospettiva” per Guietti, secondo cui “la quota di equilibrio dovrebbe essere attorno al 50%”.

Altra peculiarità del territorio estense rispetto al resto dell’Emilia, che può contribuire a spiegare il suo ritardo nella ripresa, è quella legata alla sua posizione geografica, dislocata dalla via Emilia rispetto agli altri capoluoghi. Ma quanto è determinante? “Quello delle infrastrutture è un fattore che penalizza soprattutto il basso ferrarese – commenta Guietti -, dove c’è l’unico tratto di costa adriatica senza una linea ferroviaria e la viabilità è rimasta molto indietro. Anche in questo caso a essere penalizzati sono soprattutto i territori che all’arrivo della crisi partivano da una situazione di maggiore arretratezza e da allora non sono riusciti a fare investimenti, mentre i capoluoghi provinciali e regionali hanno attratto risorse e sono riusciti in qualche modo a compensare il gap”. La considerazione finale del presidente dell’Ires è legata alle ultime dichiarazioni del sindaco Tagliani, che pochi giorni fa alla Festa del Pd di Porotto ha affermato che oggi “la città sta meglio rispetto a come era nove anni fa”: “Se si riferisce a Ferrara in quanto città capoluogo, come credo – conclude Guietti -, probabilmente ha ragione, proprio in virtù di questo fenomeno di concentrazione delle risorse. Ma a livello provinciale i divari economici sono aumentati e non bisogna sottovalutare questi indicatori”.

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