Rivedere le ferite inferte dalla forza distruttrice del terremoto, a sei anni di distanza da quella maledetta notte del 20 maggio 2012, fa ancora venire un certo nodo alla gola. Ma ricordare le scosse del 20 e 29 maggio che devastarono l’Emilia è un atto dovuto per non dimenticare cos’è stata, cos’è e cosa sarà Ferrara dopo il sisma.
L’amministrazione ha già presentato un calendario di eventi, ma niente colpisce allo stomaco come le immagini di quei momenti e la testimonianza di chi quella notte l’ha passata in bianco, girando per il centro e immortalando una città consumata dall’angoscia. Ma miracolosamente salva in termini di vite umane, che purtroppo si persero durante la seconda scossa.
Il racconto che vi presentiamo, nel sesto anniversario, è quello di Flavia Franceschini, nota artista ferrarese e sorella dell’ex ministro Dario. “Ero a letto da neanche un’ora quando è arrivata la prima scossa. Ho sentito tremare l’armadio e, ancora addormentata, mi sono affacciata dalla finestra della mia abitazione in via Borgo di Sotto. C’era già la gente in strada, io mi sono vestita di corsa e sono uscita con la macchina fotografica”.
“Ho girato per ore per le vie del centro per vedere cosa fosse successo nella mia città dopo questo terremoto non annunciato, dato che l’ultimo precedente risaliva agli anni ’70. Avevo l’ansia, il terrore che fosse successo di peggio, ma anche la consapevolezza che se il sisma fosse arrivato poche ore prima avrebbe fatto una strage. È una fortuna enorme che sia capitato di domenica”. La sera precedente, infatti, il corteo storico del Palio aveva sfilato per le strade del centro, richiamando migliaia di contradaoli, turisti e semplici curiosi in piazza.
La prima tappa è stata la chiesa di Santa Maria in Vado. “È stato impressionante vedere la statua della Madonna conficcata sul sagrato e distrutta in mille pezzi, con tutt’attorno i sacerdoti missionari della Tanzania e i parrocchiani. Ho pensato che poche ore prima, proprio sotto quel portale, c’era mia figlia che stava partecipando alla festa della contrada”.
“La scultura di pietra arenaria è stata poi restaurata da Italia Nostra e posizionata nel cortile del chiostro, ma è una brutta collocazione. È in mezzo a una gabbia di legno come un leone di un circo. Non è possibile ricollocarla nella posizione originale perché troppo pesante ma sarebbe bello farne un calco in resina e posizionare la copia tra gli angeli che sono rimasti in piedi, per non vedere più la facciata monca come ora”.
Il ricordo del passato e le proposte per il futuro si rincorrono veloci nelle parole di Flavia. “Faceva impressione trovare i pinnacoli di marmo che decoravano palazzo della Borsa in corso Ercole I d’Este conficcati tra il marciapiede la strada ciottolata, dove poco prima erano passate migliaia di persone per assistere al corteo del Palio”. O come i pinnacoli del parco Pareschi che sono capitombolati sulle macchine parcheggiate in Giovecca.
Ma i frammenti di storia erano (e sono) ovunque. “I pinnacoli della chiesa di San Girolamo sono ancora lì davanti, buttati a terra come balene spiaggiate: ormai sono entrati a far parte dell’architettura del verde. Anche a Sant’Agnese sono caduti dei frammenti dai pilastri dell’ingresso in via Carbone, chissà se sono stati recuperati o sono finiti come i pezzi pericolanti della chiesa San Giuliano, mai più riposizionati”.
Ma l’emblema è ovviamente la torre del Castello. “La torre smangiucchiata era impressionante ma è stata recuperata a dovere. Per certi versi, per la ricostruzione hanno fatto miracoli. Anche se hanno dimenticato la lanterna di palazzo Paradiso…”. E la Cattedrale? “Quella notte, sul sagrato del Duomo, c’era l’operatore ecologico che spazzava i resti di bottiglie e lattine lasciate dalla festa della sera prima. Di fianco c’erano i pezzi di marmo caduti, che ho raccolto e riportato ai tecnici dell’Arcidiocesi. Ora dicono che il Duomo ha riportato danni gravissimi, che sono peggiori di quanto preventivato, ma ho la sensazione che i botti di Capodanno lanciati in prossimità della facciata nel corso degli anni non abbiano aiutato”.
A quel tempo Ferrara fu paragonata a L’Aquila, ma ora si può asserire che “il terremoto del Centro Italia purtroppo è stato mille volte peggio”. E come l’ha gestito, culturalmente parlando, suo fratello Dario? “Non voglio parlare di politica, la gente ha ormai il dente avvelenato contro il mondo politico. E io voglio starne fuori”.
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