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15 Febbraio 2018
Un inedito percorso di oltre 60 opere all'Accademia Carrara e alla Gamec di Bergamo

Raffaello e l’eco del Mito

di Paola Forlani | 5 min

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Raffaello è il protagonista della stagione espositiva 2018 di Bergamo, all’Accademia Carrara e alla Gamec, con la grande mostra Raffaello e l’eco del mito che anticipa le celebrazioni dell’anniversario, nel 2020, dei 500 anni dalla morte del maestro urbinate, attraverso un inedito percorso di oltre 60 opere, provenienti da importanti musei nazionali e internazionali e da collezioni private.

Il progetto scientifico della mostra ha preso avvio dal San Sebastiano di Raffaello, capolavoro giovanile parte delle raccolte della Carrara. La tavola è tra le prime opere dell’artista urbinate, non ancora ventenne, il femmineo San Sebastiano si impone per una straordinaria finezza esecutiva e per capacità quasi miracolosa di gradazione della luce, che scioglie nella morbidezza atmosferica il modulo compositivo e la caratteristica fisionomia sognante, imparati dal Perugino.

L’opera non è solo protagonista di una sezione dedicata ma centro dell’indagine espositiva che si sviluppa attraverso vari capitoli: le opere dei “maestri” come Giovanni Santi, Perugino, Pintoricchio e Luca Signorelli, raccontano la formazione; un significativo corpus di opere di Raffaello ne celebra l’attività dal 1500 al 1505; infine, il racconto del mito raffaellesco si sviluppa in due sezioni, la prima ottocentesca e la seconda dedicata ad artisti contemporanei.

Raffaello ha occupato i pensieri di Roberto Longhi fin dalla giovinezza; nella Breve ma veridica storia della pittura italiana, scritta nell’estate del 1914, ancora in pieno clima futurista, per i suoi studenti di liceo romani, l’artista è ritenuto uno

<< psicologo più grossolano e ad effetto>> di Leonardo, un pittore <<sull’orlo dell’accademia>>, intento a ripetere i motivi di Michelangelo <<senza riviverli e senza ricrearli>>: <<Non posso dilungarmi di più su Raffaello che, voi l’avrete ormai compreso, non fa parte precisamente della schiera dei puri pittori ma degli illustratori grafici di ideali di vita. La sua è letteratura figurativa non pittura, degna di essere rispettata ed anche ammirata soltanto per la nobiltà e la dignità nella scelta degli ideali da illustrare in paragone alla bassura in cui cade la maggior parte degli illustratori odierni. Ma come principio non vi è fra Raffaello e costoro che una differenza etica, non una differenza artistica. La sua superiorità insomma si valuta con un criterio morale, non con un criterio estetico, e non posso perciò insistere su lui almeno dove tratto la storia dell’arte>>.

Nell’ultimo intervento raffaellesco di Longhi (1964), teso a ribadire la <<presenza di Raffaello giovanissimo a Siena accanto a Pintoricchio>>, concedendo all’artista poco più che adolescente la capacità di <<risorgere in seno alla poesia quella vivida, formicolante impuntatura ornamentale>> pinturicchiesca, già avvertibile nel <<primo e stupendo esempio dei “neumi” nello scollo del San Sebastiano di Bergamo, l’urbinate può ormai essere definito, senza remora alcuna, <<grandissimo artista>>.

Nella sezione Raffaello, giovane magister è evidente che gli anni giovanili sono caratterizzati da una continua capacità di innovare i canoni linguistici del suo tempo, come testimoniano i 14 capolavori presenti, dalla Madonna Diotallevi di Berlino alla Croce astile dipinta del Museo Poldi Pezzoli, dal Ritratto di giovane di Lille al Ritratto di Elisabetta Gonzaga degli Uffizi, fino al San Michele del Louvre, parte di un dittico commissionato ai primi del Cinquecento da Guidobaldo da Montefeltro insieme al nipote Francesco Maria della Rovere.

Per la prima volta, inoltre, vengono riunite in Europa tre componenti della Pala Colonna (dal Metropolitan Museum of Art di New York, dalla National Gallery di Londra e dall’Isabella Stewart Gardner di Boston) e tre componenti della Pala del beato Nicola da Tolentino (da Detroit Institute of Art e dal Museo Nazionale di Palazzo Reale di Pisa).

Nella sezione Raffaello, la formazione, questo capitolo espositivo anticipa la sezione delle opere autografe, un capitolo dedicato all’ambiente culturale in cui Raffaello crebbe, tra fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, soffermandosi sulla corte dei Montefeltro a Urbino, attraverso l’opera del padre Giovanni Santi, capo di una fiorente bottega, scrittore e attore di cerimoniali, di Perugino, di Signorelli e di Pintoricchio, artisti dei quali è in alcuni casi allievo, in altri semplicemente acuto osservatore, in altri ancora collaboratore.

Segue la sezione Attorno al San Sebastiano. Genealogia di un’immagine.

Proveniente da un lascito di Guglielmo Lochis, che dona dopo la metà dell’Ottocento la sua raccolta alla città di Bergamo, il San Sebastiano è, all’interno del percorso espositivo, posto in dialogo con opere di autori che hanno affrontato sia lo stesso tema iconografico sia il genere dei ritratti sullo sfondo del paesaggio – invenzione per eccellenza della cultura fiamminga – di cui sono presenti alcune testimonianze, dal Ritratto d’uomo di Hans Memling al San Sebastiano di Pietro de Saliba fino alle due opere Ritratto di giovane come San Sebastiano di Giovanni Antonio Boltraffio e Marco d’Oggiono, allievo di Leonardo a Milano.

Suggestiva è la sezione La fortuna nel primo Ottocento: un mito che rinasce.

La fama di Raffaello, già mito in vita, è destinato a propagarsi come un’eco lungo i secoli, in particolare nell’Ottocento, dove il fascino esercitato dalla sua vicenda artistica, tanto breve quanto intensa, alimenta storie di fantasia di derivazione romantica, tra arte e umane passioni. Ne è l’emblema il dipinto La Fornarina in prestito dalle Gallerie di Arte Antica di Roma – Palazzo Barberini, inesauribile fonte di ispirazione di cui sono esempi in mostra le opere di Giuseppe Sogni, Francesco Gandolfi, Felice Schiavoni, Cesare Mussini.

L’ultima sezione L’eco della contemporaneità rappresenta una conclusione di grande seduzione.

Il fascino dell’opera di Raffaello, che ha proseguito il suo sviluppo nel Novecento e fino ai giorni nostri, è alla base di un ulteriore capitolo d’indagine dell’esposizione, a cura di Giacinto Di Pietrantonio. Opere sotto forma di citazioni, ritratti ‘in veste’ di rivisitazioni iconografiche di celebri artisti quali, tra gli altri, Giorgio de Chirico, Pablo Picasso – di cui la mostra ospita anche un dipinto in prestito dalla Pinacoteca di Brera – , Luigi Ontani, Salvo, Carlo Maria Mariani – con un lavoro proveniente dalla Galleria Nationale d’arte Moderna e Contemporanea di Roma – ma anche Christo, Francesco Vezzoli e Giulio Paolini, che ha realizzato anche l’inedito Studio per Estasi di san Sebastiano installato nello spazio di norma occupato in Accademia Carrara dal San Sebastiano di Raffaello: un simbolo di dialogo tra due artisti e di collegamento ideale tra l’Accademia e la GAMeC.

Raffaello è pittore rinascimentale per eccellenza, la massima espressione degli ideali di armonia e bellezza perseguiti negli anni della prima “maniera moderna”, come la definì Giorgio Vasari. Da cinquecento anni il suo mito compete con quello dei più altisonanti nomi della storia dell’arte. Interrogarsi sulla resistenza e sulle evoluzioni di questo mito nel tempo è appassionante esercizio di analisi storica, oltre che un utile strumento di lettura dei linguaggi visivi del nostro presente.

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