Cento
9 Febbraio 2018
La sentenza del giudice liberata da ogni imputazione Emmanuele Vece e Roberto Biscione per la morte dell'imprenditore Giuseppe Mortilli avvenuta nel 2015 a "Villa verde"

Morì al poliambulatorio. Medici assolti da ogni accusa

di Daniele Oppo | 3 min

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Cento. La morte dell’imprenditore Giuseppe Mortilli al poliambulatorio “Villa Verde” di Cento non fu colpa dei medici Emmanuele Vece e Roberto Biscione. Finisce con una sentenza pienamente assolutoria, pronunciata dal giudice Vartan Giacomelli, il processo che li vedeva imputati per omicidio colposo.

Mortilli morì a seguito di un arresto cardiaco causato da shock anafilattico dovuto all’assunzione di un antibiotico il 24 marzo 2015, durante una visita nell’ambulatorio di Vece. Il processo ha evidenziato come il fattore tempo sia stato determinante: tra i primi sintomi dello shock e la morte passarono pochi minuti, durante i quali Vece – e poi Biscione che accorse sentendo le grida d’aiuto del collega – si impegnò nella rianimazione del paziente, resa difficoltosa dalla sua obesità. Inutile fu l’uso del defibrillatore, che rilevava fin da subito l’asistolia, indicando di proseguire con il massaggio cardiaco. Inutile anche l’arrivo di un medico rianimatore, esperto in rianimazione avanzata, così come quello successivo degli operatori del pronto soccorso che provarono a somministrare l’adrenalina, quando ormai era troppo tardi.

Proprio la mancata tempestività nella somministrazione di adrenalina – principale presidio salva vita nei casi di shock anafilattico – è stata il centro delle accuse della procura (che ha chiesto 6 mesi di reclusione per Vece, assoluzione per Biscione), ma le testimonianze e i consulenti di parte hanno ampiamente dimostrato come fosse impossibile per il medico riconoscere in così breve tempo lo shock – dati i sintomi non specifici e l’intervento molto repentino dell’arresto cardiaco – e che l’uso a lui consentito dell’adrenalina (comunque al tempo non presente nel carrello per le emergenze, data la sua facile deperibilità) potesse non essere efficace, potendo praticare solo un’iniezione intramuscolare, che necessita però di un circolo attivo, escluso in caso di arresto cardiaco.

“Non possiamo dire che oggi sia un giorno felice perché sullo sfondo di questa vicenda c’è la morte di un uomo (che tra l’altro, per Emanuele Vece, era anche un amico) e questo rappresenta sempre una tragedia, indipendentemente dal ruolo processuale che uno riveste – affermano i due medici in una dichiarazione a fine udienza -. Siamo ovviamente soddisfatti dell’esito del processo per il quale ringraziamo i nostri avvocati ma anche la ‘Giustizia’, intesa in senso istituzionale, che, con estremo approfondimento, ha accertato la correttezza del nostro operato di fronte ad una situazione in cui, oggettivamente, non vi era la possibilità di fare più di quel che è stato fatto. La sentenza di oggi ci restituisce la serenità necessaria per affrontare, quotidianamente, il tanto duro quanto entusiasmante ruolo del medico.”

“La sentenza di oggi è l’ennesima dimostrazione dell’elevato grado di professionalità dei medici del nostro territorio, troppo spesso bistrattati e dileggiati da denunce di facile clamore che non fanno altro che seminare un ‘sospetto’ il più delle volte infondato – affermano gli avvocati Marco Linguerri (per Biscione) e Michele Ciaccia (per Vece) -. La morte, purtroppo, fa parte della vita ed è un grosso sbaglio cercare di attribuirne la responsabilità, sempre e comunque, a chi si è preso il nobile e gravoso impegno di difenderla. Ciò, infatti, rischia inevitabilmente di allontanare la categoria medica dal nostro primario interesse alla salute e di spingerla, sempre più, nella direzione della ‘medicina difensiva’ e della ‘tutela processuale’. L’auspicio è che si ristabilisca un equilibrio, nel reciproco rispetto dei ruoli, tra chi ha il diritto di essere curato e chi ha il dovere di farlo, ma con la necessaria serenità”.

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