Recensioni
2 Febbraio 2018
Mostra al Mudec di Milano fino al 3 giugno

Frida Kahlo “Oltre il mito”

di Paola Forlani | 5 min

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Troppo facile, banale, scontato riprendere come ritornello comune dell’imminente dilagare della “Frido mania”. Ma questa volta qualcosa è cambiato.

La mostra “Frida Kahlo. Oltre il mito” aperta al Mudec di Milano fino al 3 giugno, promossa dal Comune di Milano – Cultura e da 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore, a cura di Diego Sileo, è frutto di sei anni di studi e ricerche e si propone di delineare una nuova interpretazione della figura dell’artista, evitando letture biografiche troppo stereotipate e offrendo in visione opere inedite e interessanti materiali d’archivio. La mostra riunisce più di cento opere tra dipinti (una cinquantina), disegni e fotografie, con materiali provenienti in gran parte dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection, le due più importanti e ampie collezioni di Frida Kahlo al mondo.

Magdalena Carmen Frieda Kahlo Calderòn nasce a Coyoacàn, un quartiere di Città del Messico, nel 1907, da madre messicana e padre tedesco. Di salute cagionevole fin da bambina – a sei anni si ammala di poliomelite e il piede destro le rimane leggermente deformato – Frieda, o Frida come si firmerà, sogna di diventare medico. Agli anni di scuola risale il suo primo incontro con l’opera di Diego Rivera, celebre muralista, che stava dipingendo un’opera sui muri dell’Escuela National. Preparatoria. La sua vita cambia nel 1925, quando la giovane resta vittima di un terribile incidente: tornando a casa da scuola l’autubus su cui viaggiava si scontra con un tram. Frida viene trapassata da una delle sbarre di ferro del bus. Trasportata in ospedale ci rimarrà per un mese, sopravvivendo miracolosamente alle ferite riportate. Nei giorni di degenza, comincia a dipingere e si dedica soprattutto all’autoritratto, trovando nella propria immagine riflessa in uno specchio posto davanti al letto una comoda e disponibile modella. L’amore per l’autoritratto non l’abbandonerà più. Iscritta al partito comunista messicano, incontra nuovamente Rivera che sposerà l’anno seguente. La loro relazione durerà – tra alti e bassi, separazioni e riappacificazioni – fino alla morte della pittrice. Con Rivera, Frida condivide la passione per la politica – quando lui ne sarà espulso anche lei lascerà il partito – l’impegno sociale, l’amore per la cultura precolombiana, le tradizioni popolari messicane e la carriera artistica. Nonostante la comunione di interessi e di intenti tra i due, Frida sviluppa uno stile personale, autonomo dal linguaggio del marito. Dopo aver vissuto per qualche tempo negli Stati Uniti, per alcuni impegni di Rivera i due tornano in patria, stabilendosi in una nuova casa a San Angel. Per Frida è un periodo difficile: dopo la terza gravidanza interrotta dai medici le tolgono la speranza di diventare madre; i dolori per la deformazione della gamba destra sono notevolmente aumentati, obbligandola a sottoporsi a un nuovo intervento in cui le vengono amputate alcuni falangi del piede. Aggrava la crisi personale della pittrice la relazione amorosa che Diego, incapace di restare fedele, stringe con la cognata, Cristina. Il doppio tradimento della sorella e del marito portano la pittrice a riflettere profondamente sulla propria vita e sul proprio comportamento sociale. Da quel momento nascerà una nuova Frida, più libera e disinibita, capace di intraprendere relazioni extraconiugali – come farà con lo scultore americano Isamu Noguchi e, secondo alcuni, con Lev Trotzkij – di andare a vivere da sola a Los Angeles, di divorziare da Rivera e risposarsi con lui l’anno successivo e, soprattutto, di buttarsi a testa bassa nel mondo dell’arte dove comincerà a mietere i primi successi.

Delusa dal gruppo surrealista che l’ha invitata a Parigi, Frida prende le distanze dall’Avanguardia di Breton e compagni. Le sue motivazioni, oltre che dettate da personali antipatie, vertono sulle differenze tra le sue opere e quelle surrealiste:

Non ho mai dipinto sogni”, spiega lei stessa, “quella che io ritraggo è la mia realtà”.

La sua salute peggiora, molte operazioni si susseguiranno, nel 1950 ne subisce sette. Nel 1953 le viene amputata la gamba destra. L’anno seguente, ormai stremata, Frida si ammala di polmonite e muore nella “casa azzurra” di Città del Messico, dov’era nata e dove aveva passato la maggior parte del suo tempo, oggi trasformata in un museo a lei dedicato per volontà di Diego Rivera.

In occasione del centenario della nascita di Frida Kahlo (1907-2007), l’Associazione dei Musei Diego Rivera Anahualli, Frido Kahlo Casa Azul e Dolores Olmedo diede notizia dell’esistenza di un nuovo archivio di Casa Azul, la dimora dei due artisti messicani. Disegni, stampe, lettere, fotografie, libri, telegrammi, cartoline, bozzetti, tagli di giornale, vestiti, oggetti personali, medicine hanno visto in quell’occasione la luce dopo essere stati chiusi in casse e bauli per oltre cinquant’anni all’interno di diversi spazi della casa, tra i quali la stanza da bagno personale di Frida.

Sono stati ritrovamenti veramente eclatanti che hanno fatto parlare di un vero e proprio tesoro di Casa Azul: ad esempio, nascosti nel retro di una libreria si celavano più di trenta disegni di Frida, tra tutti, Las apariencias engañan (Le apparenze ingannano). Come in un gioco di parole, questo particolare disegno di Frida sintetizza e proietta l’esperienza di una vita intera e si propone di essere letto come un testo/manifesto; ma per la composizione, il trattamento dello spazio, i volumi e i colori, questa immediatezza comunicativa aspira a trasformarsi in un simbolo permanente e a mantenere un dialogo aperto sia con le altre opere dell’artista (tra tutte, La columna rota, 1944) sia con lo spettatore. Si tratta, in totale, di un realismo figurativo insediatosi nella rappresentazione scenica e nella illustrazione dettagliata del corpo dell’artista.

L’arte di Frida non imita la natura, si dà come artificio capace di rappresentare gli spasmi e le contrazioni dell’animo umano. Come i tanti corpi da lei dipinti, la natura nelle sue opere assume cadenze geometriche e scheletriche, e vuole rappresentare la stoica consapevolezza di una sensibilità che esercita attraverso l’arte la volontà di produrre immagini capaci di andare oltre il mondo reale. Edonismo creativo di chi non si lascia né coinvolgere troppo in elitari movimenti d’avanguardia né colpevolizzare da un moralismo borghese che non vedeva di buon occhio una donna zoppa e barbuta, dagli ambigui orientamenti sessuali, giocare a fare l’artista.

La mostra e il suo curatore, con la registrazione dei nuovi materiali e odierne testimonianze, rappresenta una trama inedita attorno alla figura di Frida Kahlo, di cui, tra tanti tesori ritrovati, molto c’è ancora da scoprire e raccontare.

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