La ‘Ferrara di sotto’ profuma di metafisica e sterco
Nel libro di Raffaele Rinaldi un viaggio senza filtri ideologici tra umanità, degrado, immigrazione: per uscire dagli stereotipi
Esistono due categorie di persone che oggi più che mai, in questo preciso momento storico, hanno un disperato bisogno di uscire dai propri stereotipi. Sono gli immigrati e gli assistenti sociali. Riuscite a pensare a dibattiti meno schierati, violenti e ideologizzati di quelli che toccano in qualche modo immigrati e assistenti sociali? No? Allora probabilmente avete bisogno di leggere un libro: si chiama “La metafisica dello sterco” di Raffaele Rinaldi, edito dalla nuova casa editrice ferrarese Pluriversum.
Rinaldi, Rinaldi, dove l’ho già sentito?, chiederete voi. Raffaele Rinaldi è il responsabile dell’associazione Viale K e che da una quindicina di anni opera a Ferrara aiutando senzatetto, richiedenti asilo, donne sfruttate, tossicodipendenti, vittime di violenze domestiche e, più in generale, le persone in difficoltà. Il suo libro ripercorre la vita e le storie di alcune di queste persone, prendendo spunto di volta in volta da un incontro, una frase o una giornata passata insieme. Ci si ritrova allora immersi nella “Ferrara di sotto”, come la chiama lo stesso Rinaldi, quella di cui molti di noi parlano solo alla lontana, per sentito dire, pur passandoci davanti ogni giorno o parlandone addirittura per ore sui social network. Forse fin troppo spesso e di certo con fin troppi stereotipi in testa.
Ecco allora venirci in soccorso La Metafisica dello Sterco di Rinaldi, persona che evidentemente non ha smesso neanche per un istante di credere nella propria professione, ma che ne ha un’immagine tutt’altro che idilliaca e utopistica. Il responsabile di Viale K scrive con schiettezza e senza mai nascondere pregi e difetti dei suoi compagni di viaggio. Tra i quali si ritrovano sia i senzatetto dal cuore nobile, pronti a condividere le patate pelate a mano e cotte col fornelletto da campo, sia quelli che hanno scelto di vivere nel caos e nella violenza, come gli assassini di Pierluigi Tartari che Rinaldi ricorda al momento del loro arrivo a Ferrara, quando avevano davanti una storia soltanto da scrivere. “Poi li ritrovai sul giornale, come due persone diverse, o forse lo sono diventate davvero”.
Tutti questi frammenti di vita narrati nel libro sono collegati dalla voglia di Rinaldi di capire, prima ancora che di aiutare. Di uscire dai luoghi comuni del ricco, del povero, dell’Italiano, migrante, tossico o prostituta per capire ogni volta la singola storia, la singola persona. E attraverso di lui anche noi lettori, riusciamo a liberarci di uno stereotipo ingombrante: quello dell’assistente sociale. Non più una figura caricaturale nei suoi pregi o difetti, freddo ingranaggio di un sistema sempre più impersonale e burocratico, ma un uomo con molti valori, molti obiettivi ma anche altrettanti dubbi, che ogni giorno nel suo piccolo si ritrova a prendere decisioni che finiranno per ricadere su tutta la società. Uno spunto di riflessione per tutti, ma dedicato in particolare a chi nell’attualissimo dibattito su degrado urbano e immigrazione preferisce avere comode e monolitiche certezze – in un senso o nell’altro – piuttosto che porsi preoccupanti ma necessarie domande.