Argenta
25 Febbraio 2017
L'ex dg della coop: "Da Camilletti e Capisani testimonianze vergognose". Sui conti alle Seychelles: "Voci da bar. Ci sono stato 5 volte, ma solo perché mi piace la natura"

Crac Cmr, in aula la versione di Caravita

di Daniele Oppo | 7 min

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Argenta. Si è mostrato un osso duro per l’accusa, Pier Bruno Caravita, ex dg della Cmr e imputato principale per il crac della coop di costruttori di Filo. Durante il suo esame nell’ultima udienza del processo ha risposto a tutte le domande senza mai – almeno in apparenza – cadere e respingendo tutte le contestazioni.

Rispondendo alle domande del pm Nicola Proto (e successivamente dell’avvocato di parte civile, Eugenio Gallerani per il fallimento Cmr), Caravita – difeso dall’avvocato Lorenzo Valgimigli – ha sostanzialmente negato le proprie responsabilità nelle operazioni che, secondo l’accusa, avrebbero contribuito al depauperamento del patrimonio della coop, avvantaggiando il Gruppo Nettuno dell’imprenditore Paolo Conforti e se stesso tramite la partecipazione occulta a una società dello stesso gruppo che rilevò pezzi di una partecipata della Cmr, la Serco.

Caravita ha riposto sulle responsabilità che Giorgio Camilletti e  Lauro Capisani (ex presidente e vice della Cmr che hanno patteggiato rispettivamente di 1 anno e 6 mesi e 2 anni e 4 mesi) gli hanno attribuito nel corso delle proprie testimonianze: “da loro due sono arrivate delle testimonianze vergognose. Ero il referente di Cmr ma avevo il ruolo di coordinare le attività. Si figuri – ha detto rispondendo al pm – se da solo potevo stare dietro a un’azienda da 200 milioni di euro e 60 società”. Una battuta anche sulla ‘voce’ dei conti alle Seychelles: “Ci sono andato cinque volte, perché mi piace la natura e credo che non ci sia posto così bello dal punto di vista naturale al mondo. Sul resto, sono cose da bar”.

L’ex dg ha ricordato come nell’ottobre 2006, pur avendo maturato i requisiti per la pensione, “il movimento cooperativo mi chiese di rimanere fino al dicembre 2009”. Il 29 di quello stesso mese presentò le dimissioni con termine dell’incarico a fine giugno del 2010. A quel punto però il cda della Cmr gli chiese di cercare di risolvere il problema dei crediti incagliati, formatisi a partire dal 2008 con lo scoppio della bolla finanziaria. “Le banche – ha ricordato Caravita – che fino a qualche giorno prima rincorrevano gli imprenditori per finanziarli, avevano chiuso i rubinetti”.

Cmr si ritrovò con un credito da 18 milioni nei confronti della Palazzetto, pagato con una prima tranche da 5 milioni e con 13 milioni di cambiali che però non arrivarono. La cooperazione indicò allora di rivolgersi a Unicredit, che dapprima mantenne il rapporto in bonis, poi propose di ristrutturare il debito sulla base di un piano industriale che “prevedeva la cessione del ramo portuale nella sua interezza”, con l’obiettivo di recuperare “26 milioni dalla nuova finanza: 16 dalle banche e 10 dal movimento cooperativo”.

È anche in questo contesto che si inserisce la vendita del 60% della controllata Serco – oggetto d’imputazione – alla quale però Caravita sostiene di non aver partecipato essendo già terminati tutti i suoi rapporti con la Cmr: il 4 ottobre infatti, proprio con la notizia della cessione di Serco, presentò le dimissioni, ratificate due giorni dopo dal Cda.

Qui si inseriscono due vicende: Serco venne venduta a Carlo Fossati (che è imputato), considerato dall’accusa un prestanome del Gruppo Nettuno. E proprio Caravita – che sostiene di non conoscere tutt’ora Fossati – il 7 ottobre 2010 ricevette un’e-mail da Conforti con un progetto per la costituzione di una new company che operasse a Marina di Ravenna. “Me ne aveva già parlato prima, aveva interesse per gli immobili di Marina di Ravenna e voleva fare la newco con a capo sua moglie. Dato che ero libero da qualsiasi impegno con Cmr mi ha chiesto se potevo dare una mano e a me non sembrava di commettere colpe di carattere etico, ma gli dissi di aspettare finché non avessi terminato di occuparmi del ramo portuale”.

La newco è la Marina Estate. Fu socio occulto? Ha chiesto il pm. “Conforti mi chiese di essere socio, mi mandò una scrittura privata e io consegnai un assegno da 15mila euro (datato 3 novembre 2010) ma chiesi che la scrittura la firmasse prima sua moglie”. Poi, ha spiegato, non se ne fece più nulla perché iniziarono a comparire le prime, pesanti, accuse sui giornali. Rimase però quell’assegno non restituito, ma – ha spiegato l’ex dg di Cmr – compensato con l’acquisto di tre mobili antichi da parte di sua moglie proprio dalla compagna di Conforti.

La Serco cedette degli immobili proprio alla Marina Estate – costituita il 21 ottobre – il 25 ottobre 2010. Su quegli immobili pendevano dei contratti di locazione con Seaser e MarinaGest (che gravitavano attorno al mondo Cmr) che vennero rescissi e poi rinegoziati con la nuova società, ma con una differenza: il pagamento anticipato di 48 mensilità: “Dal punto di vista economico – ha giustificato Caravita – era quello che le società avrebbero speso, forse qualcosa in meno, con Serco”.

Ma sulla cessione degli immobili da Serco a Marina Estate, Caravita sostiene di non avere avuto nulla a che fare: “il 4 ottobre mi è stato detto che avevano venduto la maggioranza di Serco e io ben volentieri ho dato le mie dimissioni, non c’entro nulla”. Stessa risposta per la cessione delle partecipazioni della stessa Serco: “non ne so nulla”. Questo è il punto in cui forse è andato un po’ in difficoltà sulle domande della parte civile Cmr: come faceva a non sapere chi era Fossati e, soprattutto, che l’acquisizione di Serco c’entrasse qualcosa con il Gruppo Nettuno, se lo stesso legale rappresentate del gruppo gli aveva inviato in precedenza un progetto che prevedeva proprio l’uso di quelle proprietà? Dopo qualche tentennamento – indotto anche dalle domande di Gallerani, contestate dagli avvocati di varie difese, non solo di Caravita – ha fatto capire che aveva pensato che comunque Conforti avesse già qualche contatto per portare a termine l’operazione, pur ribadendo di non sapere nulla di Fossati.

C’è poi l’operazione Holyday Inn, che valeva 21 milioni di euro ma con dentro un mutuo Unicredi di 11 milioni. “Arca non pagava, quindi il consorzio Ecis a cui aderiva Cmr non pagava la coop”, ha spiegato. A questo punto venne redatto un preliminare di acquisto dell’Holyday Inn da parte di Cmr, in 15 giorni c’è la cessione del credito tra Ecis e Cmr.

Un terzo imprenditore si rivela interessato a rilevare la quota di Cmr: “Ci propose l’acquisto del 57% del preliminare, pagando in soldi e immobili. Ma il denaro non l’ha mai dato per quel che mi risulta. Cmr accettò la proposta facendo periziare gli immobili proposti, poi non si è mai concretizzato nulla perché le banche non volevano passare le quote di mutuo alla Cmr che ormai era decotta”.

Altro punto è quello di Porta Malatestiana che nel 2005 aveva incaricato la Cmr per la costruzione di un centro commerciale (che costò alla coop circa 11 milioni di euro persi). “A quell’epoca eravamo in scoperto di 8 milioni di euro”, ha ricostruito l’ex dg, ma nonostante questo accettarono il pagamento solo ad opera conclusa. Il motivo, ha spiegato Caravita, era che Porta Malatestiana Snc aveva era in procinto di ricevere un finanziamento da 24 milioni da parte di una banca d’investimento. Solo che – questo è arrivato con le domande dell’avvocato Gallerani – la Snc “ricevette 14 milioni di euro, ma 10 li diede a CariCesena per ripianare un debito e il resto a Cmr che alla fine avanzava un credito di 10 milioni di euro”. Qui si inseriscono i 650mila euro pagati all’ingegner Sergio Marinelli, oggetto di un capo d’imputazione per la bancarotta. Conforti ha spiegato che “aveva un incarico da Porta Malatestiana e anche da Cmr per la quale faceva gli esecutivi dei lavori” e per quelli sarebbe stato pagato.

Infine l’operazione Day Surgery, venduta a un prezzo limato di 626mila euro. “Faceva parte del progetto di dismissioni della Cmr”, ha detto Conforti. “Ci fu una proposta per 9 milioni, ma poi non se ne fece nulla”. Alla fine venne venduta alla Service Group con sede in Calabria, e la limatura contestata arrivò solo dopo la conclusione del contratto e dopo che la società non pagò le prime tranche: “il prezzo scese perché lo stato patrimoniale del Day Surgery era stato gonfiato e loro se ne accorsero, così scese il prezzo di vendita”.

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