Attualità
1 Dicembre 2016
Il figlio di un partigiano si è visto negare l'indennizzo. Colpa della Germania? No, dell'Italia

Risarcimento negato a un deportato, “mi sento tradito dal mio Paese”

di Elisa Fornasini | 4 min

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8c5b5b9a-29f7-4c82-af84-4cfc85925504Davide contro Golia. Un semplice uomo contro una potenza straniera. Diritti contro relazioni internazionali. E’ la storia di Diego Cavallina, figlio di un partigiano berrese deportato in un lager, che ha deciso di fare causa alla Germania per avere un risarcimento negato… dalla stessa Italia.

Il ricorso è stato respinto dal tribunale di Roma perché l’erede di Gualberto Cavallina, internato nel 1944 nel campo di sterminio di Dachau e poi trasferito nel campo di concentramento di Natzweiler, non è stato in grado di dimostrare “in che data e in che circostanze il Cavallina sarebbe stato liberato e dunque quanto tempo sarebbe rimasto in stato di prigionia”.

In quella disperata prigionia Gualberto, a quel tempo ventunenne vicecomandante della XIV brigata Garibaldi “Trieste”, fu costretto dalle SS insieme a migliaia di deportati italiani a lavorare nell’industria bellica. Il suo nome venne sostituito da un numero – matricola 40140 – e la sua vita diventò un lavoro forzato in condizioni disumane.

Un’esistenza al limite dell’umano fino al giorno della resa della Germania nazista, l’8 maggio del 1945, quando scampò alla fucilazione di tutti i prigionieri perché riuscì a nascondersi in infermeria. Un mese dopo, grazie ai medici americani che lo curarono e salvarono dal tifo, tornò nella sua casa a Berra dove mise su famiglia e morì nell’86, senza superare mai le sofferenze patite in quel terribile periodo.

A dargli pace e giustizia avrebbe voluto essere il suo unico figlio. Diego, nel novembre 2015, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che riconosce il diritto di chiedere il risarcimento dei danni per le vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, presenta il ricorso al tribunale di Roma insieme all’avvocato Fabio Anselmo.

“Come erede di mio padre perseguitato in un campo di concentramento nazista, ho sentito di rivalermi contro la Germania – ci racconta Cavallina – basandomi appunto su questa storica sentenza, una sentenza importante e nobile perché riconosce che ogni singolo cittadino è portatore di diritti e gli Stati non possono fare trattative sulle nostre teste”.

“Non l’ho fatto per un discorso finanziario, considerato che l’indennizzo si aggira intorno ai 12mila euro, quanto simbolico – spiega -. Dopo aver fatto ricorso mi sarei aspettato di tutto dalla Germania, che invece non si è costituita. Quello che mi ha indispettito è che sia stata proprio l’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero degli Esteri, a presentare una memoria per respingere la richiesta”.

“Mi sento tradito dal mio Paese – rivela Cavallina -. Non mi aspettavo che il governo desse addosso ai cittadini, anche contro la volontà di una massima autorità quale la Corte Costituzionale. E invece lo Stato, che dovrebbe tutelarmi costituzionalmente, prende le difese della Germania per salvaguardare le relazioni internazionali. E lo fa con un cavillo giuridico, pur sapendo che in punta di diritto ho ragione io”.

Ma Cavallina non ci sta ad arrendersi e ha richiesto un appello. Ci chiediamo cosa spinga ‘Davide’ a spendere tempo e soldi per combattere contro Golia. E il messaggio di replica è chiaro: “Il cittadino si sente schiacciato dai moloch delle grandi potenze che possono fare tutto, anche i reati più gravi in assoluto come i crimini di guerra e contro l’umanità”.

“Sta passando la logica che per gli umili, noi normali cittadini, è inutile far valere i propri diritti e fare causa contro i grandi potenti, siano essi multinazionali o Stati, perché tanto si perde – commenta Cavallina -. C’è la cultura diffusa che tutto sia inutile in partenza, che i diritti siano solo sulla carta e non vengano tutelati, quindi tanto vale rinunciare prima ancora di cominciare. Anselmo dice che, come nella sanità, ci sono due giustizie: per i poveri e per i ricchi. Ma io non ci sto”.

Una battaglia legale che deve a suo padre. “Sono molto orgoglioso del passato e della lotta di mio papà, come di tutti i suoi commilitoni. Me ne vanto, sono state vittime allora e anche adesso di questa giustizia che non fa giustizia anche di fronte a sopraffazioni e torture”.

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