
Da sinistra: Morassutto, Baraldi, Fiorentini, Mattiello
La Direzione Nazionale Antimafia e il presidente dell’Autorità Anticorruzione: sono questi i due principali e più autorevoli ‘sponsor’ della proposta di legge per la legalizzazione delle droghe leggere, che verrà discussa nelle prossime settimane in parlamento. E non sorprende che le nette e recenti prese di posizione di alcuni dei più importanti magistrati italiani vengano citate a più riprese anche durante il dibattito alla Festa dell’Unità che ha visto come protagonisti il deputato Pd Davide Mattiello, i consiglieri comunali Ilaria Baraldi (Pd) e Leonardo Fiorentini (eletto con Sel) e l’avvocato Luca Morassutto, che hanno argomentato da diverse prospettive il proprio sostegno alla legge.
Il dibattito sulla legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati si muove infatti su due binari distinti e complementari: da un lato l’impossibilità da parte degli Stati di vincere la battaglia contro il narcotraffico, e di conseguenza la necessità di sottrarre alle mafie e all’economia sommersa una parte del monopolio di quello che è, a conti fatti, il terzo mercato più ricco del mondo (dopo quello alimentare ed energetico). Dall’altro le considerazioni più ‘di principio’ sul ruolo dello Stato nella vita privata delle persone: “Perchè usare sostanze senza danneggiare altre persone – per dirla con le parole di Fiorentini – è una propria scelta personale e per questa scelta non bisognerebbe essere puniti”.
La premessa di Ilaria Baraldi punta a distinguere e a mettere in contrapposizione due concetti spesso confusi: legalizzazione e liberalizzazione. “In realtà, nella situazione attuale, non esiste un mercato più libero di quello della cannabis: chiunque conosca la ‘geografia dello spaccio’ può acquistarne in qualunque momento. Quindi per legalizzazione intendiamo una regolamentazione del mercato, con delle regole e strutture di controllo”. Proprio questo tipo di controllo consentirebbe secondo la consigliera Pd di risolvere o affievolire i problemi di degrado presenti a Ferrara e in gran parte delle città italiane, eliminando la presenza degli spacciatori di cannabis dalle strade e portando (citando la Direzione Antimafia) “a una rilevante liberazione di risorse umane e finanziarie in diversi comparti della pubblica amministrazione (forze dell’ordine, polizia penitenziaria, funzionari di prefettura etc) e a una ancora più importante liberazione di risorse nel settore della giustizia, dove sono decine di migliaia i procedimenti penali che richiedono l’impegno di magistrati, cancellieri e ufficiali giudiziari, con risultati spesso del tutto inconcludenti in quanto vengono irrogate sanzioni che rimangono sulla carta”.
Proprio le questioni processuali vengono affrontate dall’avvocato Morassutto che spiega in che misura i tribunali italiani si ritrovano ‘ingolfati’ da procedimenti che vertono su piccoli consumatori e produttori di cannabis, che pur avendo un ruolo molto marginale nei rischi per la salute pubblica (talvolta nullo, come dimostra la recente assoluzione di alcuni ragazzi assistiti dallo stesso Morassutto) rischiano pene in carcere da 6 a 20 anni, ben più alte di quelle previste per reati molto gravi come lo stupro o la corruzione negli apparati pubblici. Un ‘assurdo giuridico’ che ogni anno costringe i magistrati antidroga a dedicare molto più tempo e impegno alla lotta alla cannabis che a quella alle più dannose droghe pesanti come eroina, cocaina o ecstasy (basti pensare che l’80% dei sequestri di stupefacenti in Italia riguardano droghe leggere).
Concetti che secondo Leonardo Fiorentini sembrano ormai sdoganati in numerose nazioni, in particolare quelle che “vivono sulla propria pelle” i risultati fallimentari del proibizionismo: Messico, Colombia e Guatemala. Paesi in cui il tentativo di combattere sul piano penale, poliziesco e militare la produzione di droghe (sia leggere che pesanti, in questi casi) ha portato solo alla definitiva sconfitta dello Stato e all’ascesa al potere – neanche troppo velata – delle narcomafie. Sul fronte opposto ci sono invece le esperienze più recenti e ‘virtuose’ di legalizzazione: dall’Uruguay che in giugno ha festeggiato il primo raccolto (con relativi introiti) statale al Canada di Justin Trudeau, che ha lanciato la proposta di legalizzazione in campagna elettorale senza subire cali nei consensi. Fino ad arrivare ai numerosi Stati degli Usa che hanno – in misura più o meno netta – depenalizzato la marijuana: mentre la California si accinge a passare dal solo uso medico a quello anche ludico, il Colorado ha già restituito parte delle tasse del 2015 ai contribuenti grazie agli introiti extra del monopolio di Stato.
Ma a prescindere da ogni ragionamento economico e giuridico, per Fiorentini e per il deputato Mattiello la prima ragione a sostegno della legalizzazione sta nelle libertà individuali: “Se dicessimo che occorre legalizzare per liberare forze di polizia e posti in carcere – afferma il parlamentare – ci si potrebbe facilmente rispondere che allora occorre aumentare le risorse in quei campi. Quello di cui bisogna parlare è del rapporto tra lo Stato e la libertà delle persone, in rapporto al consumo di una sostanza che da molti è ritenuta addirittura terapeutica. Passatemi la provocazione: nessuno ha mai sentito un medico ordinare a un paziente di fumare una sigaretta, ma in molte situazioni un medico può consigliare di fumare marijuana”. Mattiello entra nell’ambito tecnico della proposta di legge spiegando di come questo verta “su tre gambe”, ovvero sulle tre modalità di assunzione di cannabis che verranno discusse separatamente: l’autoproduzione (da segnalare alle prefetture) e successiva condivisione nei “cannabis social club”; l’uso terapeutico (con possibilità di produrre in Italia medicinali a base di Cannabis, oggi importati prevalentemente dall’Olanda); e infine la commercializzazione sotto al monopolio di Stato, sulla scia di quanto già accade per tabacco e gioco d’azzardo.
Il deputato si dice a favore delle prime due opzioni, mentre rimane scettico sulla terza che viene invece sostenuta in particolare da Fiorentini. Il rischio, secondo Mattiello, sta nella volontà delle multinazionali del tabacco di inserirsi nella partita e di impossessarsi di un nuovo mercato legale e milionario. Ma per il consigliere ferrarese di Sel questo comporterebbe anche la rinuncia da parte dello Stato a miliardi di euro di introiti, ovvero a uno dei principali obiettivi di molti sostenitori della legalizzazione. Quel che è certo è che per i relatori il cammino della proposta di legge, nel contesto italiano, sarà molto difficile: “Se manteniamo solo l’autoproduzione e l’uso medicinale, escludendo la commercializzazione – afferma il deputato – secondo me la legge ha qualche speranza, altrimenti non passa”. A spostare gli equilibri potrebbero essere anche in questo caso le decisioni del Movimento 5 Stelle, che vede una parte dei propri parlamentari tra i primi firmatari della proposta: “Se sono ottimista sul Movimento 5 Stelle? – commenta Mattiello – Lo ero anche per le unioni civili”.
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