Se niente importa
7 Luglio 2016

Forse che gli animali hanno diritti?

di David Zanforlini | 7 min

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Forse che gli animali hanno diritti?

La domanda può solo sembrare strana e ve lo dimostro.

Qualche giorno fa (il 29 giugno) l’ANSA ha battuto la notizia che ad Urbino dieci persone sono state rinviate a giudizio per maltrattamento di animali perché “addestravano cani che dilaniavano a morsi una femmina adulta di cinghiale. Nel video sono stati identificati dalla Forestale tre noti allevatori della razza da combattimento mentre incitavano i cani ad attaccare la preda sfinita e sanguinante che veniva bloccata e sorretta, per le zampe posteriori, da uno degli addestratori, mentre i cani proseguivano gli attacchi”.

Ho pensato: “che cosa immonda, per fortuna esiste una norma (dal 2004 non pensiate che sia molto risalente) che sanziona il maltrattamento di animali”; ma poi mi sono chiesto: “per il nostro diritti civile però il cinghiale, come ogni altro essere vivente che non sia un essere umano, è una cosa”.

Perché allora il nostro diritto penale ha pensato di sanzionare con la reclusione chi si comporti in modo così raccapricciante visto che, tutto sommato, per il Codice Civile non c’è distinzione fra il diritto di proprietà di un piatto e la proprietà di un cane?

I più mi risponderebbero: perché il 544 bis (uccisione di animali) e il 544 ter (maltrattamento di animali) del Codice Penale tutelano il sentimento (umano) per gli animali, perciò il nostro diritto a non vederli crudelmente uccisi o maltrattati.

Questo però non mi trova pienamene d’accordo e credo che il Legislatore (non so se consapevolmente o meno) ha creato un terzo genere che si colloca fra gli esseri umani da una parte e le cose, diciamo, inanimate dall’altra, terzo genere che potremmo chiamarlo degli “animali senzienti”.

Si perché è proprio il Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea di Lisbona, all’art. 13 che per primo fa cessare definitivamente quell’antico retaggio per cui gli “altri esseri viventi” siano mere res, riconoscendoli come esseri senzienti, capaci cioè di provare sensazioni, in grado di capire, di essere felici o tristi, di provare dolore, di essere sensibili, di compiere valutazioni e prendere decisioni autonome, dotati perciò, come noi, seppure in forma diversa, di un’intelligenza da rispettare. Si tratta di una norma positiva che, nell’attuale gerarchia delle fonti del nostro Paese, ha un rango para-costituzionale, nel senso che ha validità immediata per il nostro Ordinamento in quanto non contraria ai principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale.

Apparentemente anche il nostro Legislatore ha seguito questa nuova visione giuridica perché all’art. 189, IX° bis, CdS (comma introdotto dall’art. 31 L. 120\2010) recita: “L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, da cui derivi danno a uno o  più  animali d’affezione, da reddito o protetti, ha l’obbligo di  fermarsi e di porre in atto ogni misura idonea  ad  assicurare  un  tempestivo intervento di soccorso agli animali  che  abbiano  subito  il  danno. Chiunque non ottempera agli obblighi di cui al periodo precedente e’ punito (omissis)”. Come appare evidente in questo caso l“’animale non umano” quando investito da un auto, ha un proprio diritto al soccorso, non per evitare intralci o pericoli alla circolazione, ma per il solo fatto di essere stato ferito, con ciò confermando che il Legislatore, sulla linea dell’attenzione sociale al problema di tutela degli “animali non umani”, sta “veleggiando” verso un sempre più esplicito riconoscimento di diritti proprio in capo a loro.

E su questa scia di innovazione giuridica ha dato una risposta positiva anche la giurisprudenza di merito transnazionale, che sta riconoscendo ambiti di applicazione una volta impensabili in questa materia. Il dibattito ha trovato anche due interessanti spunti di riflessione in due sentenze sul tema dell’Habeas Corpus. La prima emessa dalla Corte di Cassazione Argentina, che ha annullato una sentenza che dichiarava inammissibile una richiesta di liberazione di un Orango, disponendo quindi che il ricorso fosse trattato dal giudice di merito; la seconda pronunciata dalla Corte Suprema dello Stato di New York che ha ritenuto ammissibile una petizione sull’Habeas Corpus di due scimpanzé. Entrambe le sentenze sono molto interessanti perché stabiliscono che è ipotizzabile il diritto (habeas corpus) di un animale a vedere tutelata la propria libertà personale e a non essere sottoposto a detenzione a tempo indefinito.

Inutile dire che una norma diretta di tutela dei diritti degli animali, nel nostro Ordinamento, non esiste, se non quella, espressa nel TFUE citata, e forse sta proprio qui il punto di partenza che consente un ragionamento quasi metagiuridico.

Orbene, l’art. 13 del TFUE esprime senza ombra di dubbio un diritto (quello al benessere), a cui corrisponde il dovere per gli Stati membri (ed i loro cittadini) di tenere “pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.

Resta indiscutibile, perciò, che:

1) un diritto sia stato espresso,

2) questo dipenda dal riconoscimento della “capacità senziente” degli animali,

3) a fronte della statuizione del diritto, esiste un corrispondente dovere.

Per ricercare un appiglio nella nostra Carta Costituzionale bisogna, forse, rivolgere l’attenzione, tramite analogia, ad un altro principio faticosamente espresso negli ultimi secoli e che attiene alla abolizione della schiavitù. Potrebbe sembrare a prima vista una ipotesi estremamente ardita, ma non si può negare che il principio cardine della riduzione in schiavitù è la privazione della titolarità di un diritto. Il problema quindi risulta essere che, nel momento in cui il soggetto-schiavo diventa anche titolare di diritti (di libertà, uguaglianza, solidarietà, ecc.), sorge il corrispondente dovere, per l’Ordinamento, di impedire che questi diritti vengano annullati, o solo compressi anche in minima parte, e di conseguenza “liberi” il soggetto titolare di quei principi.

Ovviamente è solo un accenno al problema della riduzione in schiavitù, ma dovrebbe consentire di introdurre il passo successivo e cioè dove nel nostro Ordinamento esiste la tutela costituzionale al principio della incompatibilità della schiavitù con la nostra Legislazione. Resta il fatto che il problema della schiavitù per la nostra cultura è un relitto della struttura politica dell’alto medioevo, e pertanto la Costituente non dovette direttamente esprimersi sul punto, ma lo fece, comunque all’art. 2 della Costituzione, quando dichiarò che la Repubblica: “garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.

Qui prosegue, però, con una altra affermazione, molto importante, con risvolti sicuramente ampi per la nostra discussione, quando scrive: “…e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

C’è da soffermarsi sul significato di solidarietà sociale. Una definizione facilmente reperibile dichiara la solidarietà indicare: “un atteggiamento di benevolenza e comprensione che si manifesta fino al punto di esprimersi in uno sforzo attivo e gratuito, teso a venire incontro alle esigenze e ai disagi di qualcuno che abbia bisogno di un aiuto”. E ancora: “la benevolenza è messa in moto da una volontà che mira al bene, intendendo che vi sia una voluntas, un atteggiamento spirituale che genera il desiderio di fare del bene”.

A questo punto se lo scopo costituzionale è quello di garantire la solidarietà, con il tramite della benevolenza, e non è scritto che essa, la benevolenza, debba esplicitarsi esclusivamente verso gli esseri umani, ben può sostenersi che la solidarietà può avere di mira anche il benessere animale che, per questo, va tutelato. Di conseguenza la stessa solidarietà non riguarda solo gli esseri umani, ma l’intero ecosistema, anche perché, se non li avessimo di mira, indirettamente i danni si ripercuoterebbero su noi stessi.

Esempi di tutela di diritti “non umani”, poi, sono numerosi: la tutela dell’ambiente, del paesaggio, della cultura, delle specie protette e non dobbiamo pensare di essere ora gli unici destinatari dei diritti riconosciuti dalla Costituzione.

Fatta questa doverosa premessa interpretativa (certamente sintetica e sommaria, ma che delinea i confini dell’analisi) si deve ritenere che, in ultima istanza, non possano esistere “diritti senza doveri”. La conseguenza è che, nel momento in cui si riconosce la qualifica di “essere senziente” ad una forma di vita animata e se ne dichiari la tutela del suo benessere, cioè il suo diritto a stare bene, questo soggetto diventa titolare del diritto di vedere rispettata la sua sensibilità, a fronte del nostro dovere di rispettare gli animali non umani nella loro etologia.

Mi fermo ora, e vi lascio immaginare le conseguenze del ragionamento che abbiamo sviluppato: pensate a cosa può comportare avere l’obbligo di garantire il benessere degli “animali non umani”.

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