Cento. Condannato a quattro anni e mezzo con l’accusa di concussione, per aver proposto ad alcuni imprenditori una comoda ‘via di fuga’ dai propri problemi con il fisco: rivolgersi allo studio di commercialista in cui lavorava suo figlio. Si chiude così il processo che vedeva alla sbarra il 54enne (ora ex) funzionario dell’Agenzia delle Entrate Enrico Sito, responsabile secondo il tribunale di tre diversi casi di concussione accertati.
Il funzionario era stato denunciato nel 2012 da alcuni imprenditori dell’Alto Ferrarese, dopo esser già stato oggetto di almeno una segnalazione da parte dell’Ascom di Cento, che riferiva di alcuni associati che si lamentavano del comportamento di un impiegato dell’Agenzia delle Entrate. Grazie alla denuncia successiva la procura cominciò però ad acquisire elementi più precisi sulle azioni di Sito, le cui vittime accertate furono Lamberto Ballanti, titolare della ditta Laba, Daniele Licalsi, titolare di una ditta che commercia moto, e Andrea Gallerani, rappresentante legale della società di costruzioni Ceci.
I tre erano stati raggiunti da avvisi di accertamento riguardo la loro posizione contributiva, ma una volta a colloquio con Sito si trovarono di fronte a una proposta inaspettata. Gallerani riferì agli inquirenti di essersi visto ‘dirottato’ verso lo studio fiscale ‘amico’per evitare il pagamento di 300mila euro per le verifiche sugli anni 2003 e 2004. Licalsi affermò di aver ricevuto la proposta di pagamento di 50mila euro per chiudere la verifica senza sanzioni. Ballanti infine, l’unico che avrebbe usufruito del ‘prezioso consiglio’ di rivolgersi al commercialista indicato da Sito, avrebbe visto la propria posizione ammorbidita a dovere.
I tre imprenditori si sono costituti parte civile nel processo attraverso gli avvocati Cesare Bonazzi e Riccardo Ziosi, affiancati anche dall’Agenzia delle Entrate – che per via dell’inchiesta ha licenziato l’ex funzionario – attraverso i propri legali. Dopo la requisitoria e le arringhe del pm Patrizia Castaldini e dei legali in causa, il tribunale ha quindi scelto la linea dura, infliggendo una pena superiore di un anno rispetto ai tre anni e mezzo richiesti dalla procura.
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