Politica estera europea: realtà o finzione?
Perez: "La difficoltà è trovare una voce comune tra tutti e 28 gli Stati membri”
La politica estera dell’Unione Europea esiste o è un ‘bluff’ che si sono inventati a Bruxelles? È da questa domanda che è partito il dibattito “La politica estera dell’Unione” che domenica pomeriggio ha richiamato il pubblico di Internazionale al teatro Comunale. L’incontro è stato aperto dalla cerimonia di premiazione del concorso 2015 per la migliore vignetta sull’Europa, vinto da Marilena Nardi che ha messo nero su bianco il disinteresse dell’Ue nel gestire la crisi umanitaria dell’immigrazione. A consegnare il riconoscimento Marco Tonus, vincitore dell’edizione dello scorso anno, che si è poi seduto al tavolo insieme ai disegnatori Marco De Angelis e Fabio Pecorari che hanno arricchito l’evento con vignette satiriche realizzate dal vivo. Immagini che strappano risate amare e che mettono un punto sulle tante tematiche trattate durante l’incontro.
“La politica estera europea, che ha come obiettivi quelli di preservare la pace, promuovere la collaborazione internazionale e sviluppare la democrazia e il rispetto dei diritti umani, risale al trattato di Lisbona del 2009 ed è quindi molto giovane” interviene per primo Claudi Perez, corrispondente da Bruxelles del quotidiano spagnolo El País, secondo cui la vera problematica di questa politica risiede nella “difficoltà di trovare una voce comune tra tutti e 28 gli Stati membri”. Una difficoltà presto esemplificata da Bernard Guetta, cronista francese di France Inter: “Basta guardare le differenti posizioni dei paesi dell’Ue. Francia e Gran Bretagna hanno ambizioni mondiali, la Germania è rimasta traumatizzata dal suo passato ed è sostanzialmente pacifica e non interventista, Italia e Spagna adottano posizioni che si collocano in una via di mezzo perché non sono ostili agli interventi militari mentre gli svedesi non sono interventisti, infine per i paesi baltici la loro unica preoccupazione è la Russia. Gestire la situazione con paesi che hanno atteggiamenti e visioni diverse in virtù della loro storia non è facile”.
“È impossibile pensare di avere una visione univoca – conferma Andrea Pipino, editor di Europa di Internazionale – ma è il compromesso che vince su tutto”. Un compromesso che però arriva sempre troppo in ritardo. “L’Unione Europea si è mossa per affrontare il dramma dei rifugiati con un ritardo considerevole di un anno e mezzo – dichiara Guetta – che ha recuperato in un mese e mezzo riuscendo ad adottare una posizione comune intelligente e piena di buon senso: fare differenza tra rifugiati politici e migranti economici, rafforzare le frontiere esterne dell’Europa e portare avanti lo sforzo solidale di accoglienza dei rifugiati nei 28 paesi membri. Quando l’Ue prende consapevolezza riesce a fare un passo comune ma ci arriva solo quando il problema assume dimensioni tali da non poterlo più ignorare”. Più critica la visione di Pipino: “Se la politica è quella di rimpallare i profughi ai confini, mi sembra strano che i governi siano in grado di dotarsi di strumenti politici per gestire l’arrivo dei profughi in maniera efficiente e non improvvisata come ora”.
Il dibattito, incentivato dal moderatore Thierry Vissol della Commissione europea, passa poi ad affrontare il rapporto tra l’Europa e gli Stati Uniti. “Da quindici anni gli Stati Uniti si stanno allontanando in modo discreto dal teatro europeo – spiega il giornalista francese – perché quello che gli interessa ora è il rapporto con la Cina. Se gli Usa non sono più così presenti nel vecchio continente, noi europei invece abbiamo sempre bisogno degli Stati Uniti perché non abbiamo una politica di difesa europea. L’unica speranza è che l’Unione Europea arrivi a dotarsi di una politica estera di difesa e militare”.