“Ogni 4 giorni un afroamericano viene ucciso dalla Polizia”
Gli Stati Uniti sono lontani dal sogno di Martin Luther King
“Nel ventesimo secolo ogni quattro giorni veniva linciato un afroamericano, nel 2015 ogni quattro giorni un cittadino afroamericano viene ucciso da un agente di polizia”. A fare questo collegamento tra l’epoca di linciaggio del 20esimo secolo e quella del presente è Isabel Wilkerson, giornalista statunitense e prima donna afroamericana a vincere il premio Pulitzer, tra gli ospiti dell’incontro “Stati Uniti. Il sogno incompiuto” tenutosi sabato pomeriggio in un teatro Comunale gremito per il festival di Internazionale.
Il sogno incompiuto è quello di Martin Luther King. Neanche l’elezione di un presidente nero è servita per cambiare la situazione negli Stati Uniti. Una “situazione di razzismo, ingiustizie e discriminazioni” che ha portato il paese a una “dieta quotidiana di morte nera”. Cinque parole forti uscite dalla bocca di Gary Younge, reporter di The Guardian che dopo 12 anni ha lasciato gli Stati Uniti per tornare nella sua madrepatria, l’Inghilterra. Kristina Kay Robinson della Mixed Company viene invece da New Orleans, “una città fondamentale nella scacchiera della resistenza dove è sempre esistita la consapevolezza: i neri in America hanno resistito alla supremazia bianca fin dall’inizio e continuano a farlo”.
Ma questa supremazia bianca è iscrivibile solo a logiche di razzismo? si chiede Monica Maggioni, presidente della Rai e moderatrice dell’incontro. “Gli Stati Uniti hanno creato un sistema di caste – risponde Wilkerson – basato sull’aspetto delle persone e nato con la schiavitù perpetuata per 12 generazioni. Un sistema che si adatta alle esigenze politiche e che continua in maniera diversa ancora oggi”. “Sono affascinato dalla costruzione di un sistema razzista così istituzionalizzato – aggiunge Jose Antonio Vargas, giornalista e attivista statunitense in collegamento Skype – ma l’America non è solo bianca o nera, ora è anche latinoamericana e asiatica. Sarà una sfida vedere come queste contaminazioni si applicheranno all’identità americana, siamo a un terremoto senza precedenti”.
A scuotere ancora di più questo terremoto saranno le elezioni presidenziali del 2016. “Non si può prevedere nulla, vorrei essere più ottimista ma secondo me ci aspetteranno momenti molto miseri e spaventosi” commenta Kay Robinson. Più tecnica la visione offerta da Younge: “Il partito Repubblicano è sempre più paranoico perché si sta appellando a un elettorato bianco ch si sta riducendo, mentre il partito Democratico continua a dipendere dal voto degli afroamericani. L’unica cosa che potrà cambiare è cosa succede alla base: alcuni repubblicani sono disgustosi ma ci sarà alla fine una resa dei conti con i democratici”.
Cinquant’anni dopo, il sogno è cambiato. “Io sogno di arrivare a un umanesimo globale militante che veda Michael Brown come il bambino siriano morto sulla costa turca, sono state le politiche razziste a uccidere quel bambino e queste politiche sono ovunque” rimarca Younge. “Il razzismo è un fenomeno globale – conferma Kay Robinson – e dovete pensare che il modo in cui trattate i neri a casa vostra ha ripercussioni su tutto il mondo”. Sulla stessa linea d’onda Wilkerson: “Abbiamo tentato di tutto e a questo punto non rimane che l’empatia, che non consiste nella pietà ma nella maniera che ci porta a vedere noi stessi nel prossimo”. Anche se quel prossimo è nero e magari migrante. Le connessioni con l’immigrazione sono stati molteplici durante tutto l’arco dell’incontro e molto sentite da Vargas che ha parlato di questo fenomeno come un “diritto umano”. Il dibattito si conclude proprio con le sue parole via Skype: “Non siamo stati capaci di affrontare la nostra stessa storia, abbiamo tantissimo lavoro da fare”.