Cronaca
30 Luglio 2015
Il calvario umano e burocratico di una coppia ucraina, che chiede un permesso di soggiorno temporaneo per assistere la bambina

La figlia rischia la vita e loro non possono starle vicino

di Ruggero Veronese | 3 min

passaportoDa quasi sette mesi due giovani coniugi ucraini si ritrovano a camminare tutti i giorni tra i reparti dell’ospedale, per assistere la propria bambina di tre anni che lotta per la vita a causa di gravissime lesioni all’esofago.

Erano arrivati in Italia all’inizio dell’anno con un visto turistico, per trascorrere una settimana di ferie insieme ad alcuni parenti residenti a Ferrara, per poi fare ritorno in patria. Poi il ricovero improvviso della piccola, sottoposta a un lungo ciclo di trattamenti e a due operazioni chirurgiche. Nel frattempo il visto turistico dei genitori è scaduto e tutte le richieste di un permesso di soggiorno temporaneo sono cadute nel vuoto: la coppia deve lasciare la figlia e fare ritorno in Ucraina.

Una disposizione che la coppia (di cui per ovvi motivi non pubblicheremo l’identità), per quanto a malincuore, non ha alcuna intenzione di rispettare. Tutti i giorni infatti il personale dell’ospedale Bambin Gesù di Roma – che un mese fa ha preso in cura la bambina dall’ospedale di Cona – ha bisogno dell’autorizzazione di uno dei genitori per effettuare le analisi e gli interventi di routine. E almeno uno tra la madre e il padre chiede di poter restare al fianco della figlia fino a quando l’emergenza non sarà passata. Ma in questo momento, legalmente parlando, i due genitori sono ufficialmente dei clandestini, che rischiano l’espulsione forzata in caso di un qualunque controllo dei documenti da parte delle forze dell’ordine.

I primi guai sono cominciati un anno fa in Ucraina, quando la piccola ingerì della soda caustica che le ha provocato gravi danni all’esofago. Dopo alcuni mesi di cure la bambina sembra in via di guarigione e i genitori decidono di portarla con loro per una settimana di ferie a Ferrara. Ma, pochi giorni dopo l’arrivo, la situazione precipita: la figlia mangia un pezzo troppo grosso di melone che riapre la ferita e viene subito ricoverata all’ospedale di Cona. Qui per quasi sei mesi viene sottoposta a continui trattamenti per allargare l’esofago, ma in giugno i medici comunicano ai genitori che è necessario un intervento, che viene effettuato da un chirurgo di Roma. Il giorno successivo però la piccola presenta nuove complicazioni e viene operata una seconda volta d’urgenza. Per poi, dopo una settimana in terapia intensiva, essere trasferita al Bambin Gesù, dove arriverà con 42 gradi di febbre e dove passerà tre settimane in coma farmacologico.

Nel frattempo al calvario umano per i genitori si aggiunge quello burocratico: nessuno dei due coniugi lavora in Italia o è richiedente asilo, quindi l’unico permesso di soggiorno che le questure di Ferrara e di Roma sono disposte a concedere – per ragioni sanitarie – è alla figlia ricoverata. Ma chi se ne occuperà mentre è ricoverata al Bambin Gesù? La parente che vive e lavora a Ferrara trattiene a stento le lacrime quando ci racconta la storia: “Come si fa a concedere il permesso a una bambina di tre anni e non a uno dei suoi genitori? Mio fratello può portare tutta la documentazione medica su sua figlia per dimostrare che non vogliono restare a vivere qui in Italia, perché in Ucraina hanno un lavoro e il bambino piccolo. Dobbiamo ringraziare l’Italia i medici italiani per le cure che alla bambina, ma i suoi genitori non vogliono soldi o aiuti: solo essere in regola con la legge, ma nessuno glielo permette”.

Intanto i due giovani coniugi – 30 anni lui, poco più di 20 lei – alloggiano a Roma, nella struttura di un gruppo di suore dove pagano 30 euro al giorno. Ma, tutte le volte che varcano la soglia per dirigersi verso l’ospedale, si aggirano per Roma con la stessa ansia di chi ha appena commesso un crimine: basterebbe un controllo dei loro documenti da parte di un agente per far scattare i provvedimenti contro l’immigrazione irregolare, primo tra tutti l’espulsione forzata dal territorio nazionale. Ma forse, in alternativa, basterebbe un piccolo passo da parte delle autorità per aiutare una famiglia costretta da mesi alla clandestinità, pur di restare al fianco della figlia.

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