Backstage
13 Luglio 2015

Comici si nasce o si diventa?

di Gianni Fantoni | 3 min

È capitato a tutti di avere un compagno di scuola particolarmente simpatico, dotato di quella particolare capacità d’intrattenere prendendo di mira i professori o i propri colleghi. Ecco, quello magari era un comico nato. Come ce ne sono tanti nel mondo, che magari non hanno mai pensato davvero di cimentarsi in quella carriera e sono rimasti a far divertire gli amici al bar. E qualcuno di loro si sarà anche sentito dire “Ma dovrebbero prendere te a Zelig!”
Quello che molti ignorano, è che fare il comico è un mestiere. Dietro c’è studio, preparazione e, davanti, una serie di difficoltà varie, generalmente anche un commercialista e un discreto numero di documenti fiscali da tenere in ordine. Una barzelletta, una serie di spiritosaggini bene assortite si possono anche azzeccare in una sera di particolare grazia in mezzo agli amici, ma un domani, dovendolo fare a comando, anche se non ne hai voglia, di fronte a sconosciuti, riusciresti a rifarlo? Perché la differenza tra un dilettante e un professionista è tutta lì. Jerry Seinfeld, un grande comico americano, elenca “I Quattro Livelli della Comicità: 1) Fare ridere i tuoi amici 2) Far ridere persone che non conosci 3) Essere pagato per far ridere persone che non conosci e 4) Fare in modo che la gente parli come te perché è un sacco divertente.”
Quest’ultimo livello lo raggiungono davvero in pochi, provate a pensarci.
Come sempre, non esistono regole che valgano per tutti, ognuno ha un proprio percorso. Di sicuro, sia che si voglia frequentare una scuola di recitazione o no, c’è tanta preparazione da fare. Al di là della fortuna di nascere con un certo talento, poi, questa dote va allenata, migliorata, tenuta lucida. Uno dei più grandi purosangue di tutti i tempi, Varenne, ci è indubbiamente nato con quella capacità nelle zampe, ma qualcuno gli avrà certamente insegnato come si corre e come tenere il passo senza “rompere.” Questo per sottolineare che molto spesso si tende a ridurre la professione del comico a qualcosa di estremamente facile da fare. Certo, gli esempi televisivi non aiutano a tenere alta la reputazione di questo lavoro: consiglio di vedere spettacoli dei comici a teatro, dove lì la bravura è un po’ più evidente e anche il cimento un po’ più alto di quei 3 minuti, magari volgarotti, che i tempi della televisione ti impongono.
Comunque i comici sono importantissimi, qualunque sia il loro lignaggio. E, giuro, in questo momento parlo da spettatore come voi. Saper infondere un po’ di allegria in un mondo così malconcio mi sembra sempre più meritevole. Provate a pensare – alla rinfusa! – a Totò, Stanlio e Ollio, Jerry Lewis, Peppino de Filippo, Alberto Sordi… quanto più misera sarebbe stata la nostra esistenza? Quante risate in meno? E ogni tanto i comici stessi si soprendono di quanto bene facciano al proprio pubblico, perché anche dentro di loro tendono a minimizzare qualcosa che, so di esagerare ma non più di tanto, in fondo è una missione.

Riporto un passo che mi ha fatto molto effetto, trovato nella meravigliosa autobiografia di Groucho Marx, uno dei più grandi comici di tutti i tempi:
(…) Stavo passeggiando in State Street a Chicago quando una coppia di mezz’età comincia a gironzolarmi attorno. Dopo avermi sfiorato per tre o quattro volte, guardandomi come se fossi stato una creatura di un altro pianeta, finalmente la signora, un po’ esitante, mi si avvicina e mi chiede: “È lei, vero? Lei è Groucho?”
Ho annuito.
Allora ha allungato una mano per toccarmi timidamente il braccio e ha aggiunto: “Per favore non muoia. Continui a vivere”.
Si può chiedere di più?

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