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6 Luglio 2015

Gli spettacoli estivi

di Gianni Fantoni | 3 min

Quando arriva l’estate, più che dal frinire delle cicale, lo capisci dallo sbocciare delle sagre. C’è sempre una buona occasione per friggere qualcosa, per cuocere, tutti insieme, qualche bestiolina più o meno allevata, o comunque di mangiare un tubero o un frutto declinato in tutte le possibili modalità, ignote anche a quelli di Master Chef. E dove c’è una sagra, c’è lo spettacolo. L’entrata è a “offerta libera”: la spontaneità della donazione e soprattutto l’entità sono sovente nelle mani del bidello che presidia l’accesso al parco chiuso e nel suo sguardo. Più è minaccioso, più è redditizio. L’area dello spettacolo è spesso ricavata in una piazza asfaltata, che non vede l’ora di rilasciare tutto il calore accumulato durante il giorno proprio durante l’esibizione dell’artista di turno. Ogni tipo di bestia nociva volante viene attirato dalle luci della ribalta, e non le abbandona mai: a volte finisce col bruciarsi sui fari, a volte finisce in bocca a chi parla: io ho ancora vivissimo il sapore terribile delle zanzare di una fiera di Formignana in cui mi esibii più di 30 anni fa, per dire.

Per un comico fare uno spettacolo in piazza è quasi sempre una fatica notevole. Dovresti ottenere un certo silenzio per far sì che si riesca a seguire ciò che stai dicendo ma non succede mai. Genitori che non vedo l’ora di rilassarsi per un sera senza i figli, li puntano in direzione del palco, li caricano bene a molla, e li liberano. Nel giro di qualche minuto, non appena hai detto «Buonasera!», hanno già formato una nutrita banda in grado di far perdere concentrazione e pazienza anche ad un monaco tibetano. Una volta ho detto loro: «Dai, bambini! Adesso, tutti insieme a giocare sull’autostrada!» Ad un papà che aveva parcheggiato sotto al palco ben tre monelli da lui prodotti a distanza ravvicinata, ho suggerito, come regalo per Natale, di farsi fare una vasectomia.

A volte la buona volontà dell’organizzatore ti lascia disarmato anche di fronte alle sue mancanze più lampanti, ma poi ne paghi le conseguenze tu, naturalmente: un parroco si procurò l’impianto di amplificazione, come da accordi. Sì, quando sono arrivato c’era effettivamente, ma era costituito da casse tipo altoparlante da stazione ferroviaria: il suono era inscatolato e tutto uguale, qualsiasi cosa io dicessi e in qualunque modo usassi la voce. Poco male, se non fosse che allora facevo essenzialmente imitazioni vocali e che quindi risultarono praticamente tutte uguali…

Una volta, ad una fiera di paese, avevano montato il palco – con tanto di parapetto davanti, alto un metro… – a pochi metri di distanza da un paio di giostre, in funzione. L’organizzatore garantì: «Non disturberanno, lo sanno già.» Non ho fatto a tempo a dire «Ciao!» che il giostraio, amplificato molto meglio di me, sentenziò: «Forza! Vi aspetto tutti sul calcinculo! È bello! Piace! Diverte!».

In un’altra occasione mi ritrovai a esibirmi, in una di queste sagre, due sere prima di Nilla Pizzi. Disgraziatamente, i miei manifesti e quelli di Nilla avevano una posizione per le strade che inducevano all’errore facilmente: i miei erano tutti fuori dal paese, e i suoi erano tutti in centro, vicinissimo al palco. Sembrava che quella sera ci sarebbe stata lei al posto mio. Trovai davanti a me, nelle posizioni migliori, almeno duecento vecchie con sedie personali: se l’erano portate da casa e avevano occupato i posti migliori già dalle 19, con un anticipo minimo di 2 ore rispetto al mio inizio.

Lo spettacolo andò bene, ma solo a 40 metri da me: il “mio” pubblico che rideva era lontano, mentre le vecchie, vicinissime, impassibili e deluse, mal sopportarono la mia presenza per un un’ora e mezza, e senza andarsene.

Mi ricordo di aver sudato molto, e non solo per il caldo. Credo di non aver più desiderato così tanto in vita mia essere davvero Nilla Pizzi!

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