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18 Giugno 2015

A Marisa

di Francesca Boari | 4 min

“Anche se non puoi entrare, non allontanarti da me, tendimi sempre la mano anche quando non ti è possibile vedermi, se tu non lo facessi, mi dimenticherei della vita o sarebbe la vita a dimenticarsi di me”(Josè Saramago, Cecità, Einaudi)

Ti abbiamo salutata meravigliosa amica, creatura d’ amore e mai parca nel darti completamente agli altri. Ti abbiamo salutata per il momento. Ti abbiamo salutata qualche mese fa. E quindi ognuno di noi se ne continua ad andare a piedi per le starde di questa città, più spoglia sai, da te tanto amata, specie nei suoi giardini segreti che ti arrampicavi mai sazia ad annusare e ad ammirare ogni volta che la tua insaziabile curiosità spingeva il tuo esile e forte corpo. Quella Ferrara della meraviglia, quasi sospesa in un giudizio che non trova linguaggio se non forse nelle bellissime pagine dei tuoi due romanzi, “Mentre inseguivo Orfeo” (ed. Cicorivolta) e “Perché era lui, perché ero io” (ed Cicorivolta 2014)

“No, Sherazade non esisteva; tante volte l’aveva cercata ancora in un volto, in un sorriso, in uno sguardo buono, ma non l’aveva mai trovata. “Che se ne vada, non voglio essere disturbato”. (…) “Ti prego, ascoltami, assecondami, sii curioso; lo sai che io sono una scintilla di vita che va tenuta accesa, altrimenti tutto è buio”. Altrimenti tutto è buio, certo Marisa, e noi amiamo il buio buono delle sere in compagnia delle nostre parole e del nostro vino, amiamo il buio che parla di vita e di amore. Non altro.

In questo cammino alla ricerca di te, noi, insieme ai tanti che ti hanno amato, mi perdo nell’anomala nebbia della città dove vivi e morti , le persone immaginarie e quelle reali (proprio come nei tuoi romanzi) si continuano ad incrociare e si confondono in abbracci e sorrisi e occhi luminosi.

Adesso, mentre ti scrivo, sono davanti ad una finestra a guardare la pioggia che cade fitta, e inconsolabile sembra questo pianto del cielo. Cerco il riflesso di te, perché ciò che più mi spaventa di questo tuo viaggio, troppo poco il tempo abitato insieme mia dolce amica ( mi consola pensare che comunque sarebbe stato poco, anche se gli dei ci avessero giurato l’eternità ad entrambe), perdere i tuoi occhi di luce e di incanto innamorati sempre della vita e degli altri.

Mi fermo, incornicio e appendo i nostri sorrisi e i nostri cappelli alla nostra casa. In silenzio ti sento.

Dedicato a te e a tutti i veri lettori, tratto da “Perché era lui, perché ero io”(2014, Cicorvolta editore)

Da tempo fatico a prendere sonno.
Il mio cervello non vuol sentire ragioni di una tregua da pensieri che corrono impazziti dentro i ricordi e il dolore di una perdita che di giorno in giorno si fa più acuta.
Era forse ubriaco quel filosofo quando scrisse: “Se c’è la vita non c’è la morte, se c’è la morte non c’è la vita”? Certo la verità di questa sentenza è incontrovertibile, oserei dire ovvia, ma a me sembra buona solo a esorcizzare la paura che della morte ha chi la sente alitare sulle spalle, non certo a tacitare la disperazione di chi sopravvive ad una persona amata.
Lorenza non c’è più, se n’è andata e, questa volta, per sempre, eppure non riesco a rassegnarmi al vuoto che mi ha lasciato; non c’è più la vita, la sua vita così ricca di entusiasmi, di amore, di desiderio di capire, di conoscere, di esserci.
A volte fingo di pensare che sia lontana, in uno dei tanti viaggi che amava fare per uscire dal chiuso della propria casa e delle proprie abitudini e andare in cerca del nuovo, del diverso, di un incontro che si schiudesse sul mistero della vita. Dura ben poco l’illusione di risentirla… So che non mi arriverà una email in cui mi rassicura che sta bene, ch eha penottato in una sfarzosa casa coloniale inglese a Ooti, sulle montagne del Tamil Nadu e ha creduto di sentir ruggire dietro al porta della sua camera le tigri i cui trofei, appesi alle pareti del salone da pranzo, l’avevano guardata con un ghigno feroce per tutta la serata.

No, non mi scriverà più delle avventure cui andava incontro, incosciente e spensierata, e che a me regalavano leggerezza e felicità perché finalmente riconoscevo la sorella di un tempo, rinata a nuova vita.

“vieni a trovarmi per un caffé filosofico? Così ti racconto…”, mi diceva al telefono di ritorno dall’ennesimo viaggio. Era bello ascoltarla; mi pareva di vederli i posto che descriveva con tanta passione e minuzia di particolari, soprattutto percepivo, come se diventassero miei, il coinvolgimento emotivo e le vibrazioni della sua anima.

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