Attualità
28 Aprile 2015

E’ stato dannatamente bello

di Federico Pansini | 6 min

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11160008_10205642329792078_3484042891567148651_n_editedDomenica scorsa intorno alle 17, minuto più minuto meno, ci siamo sentiti tutti più leggeri, come se ci fossimo tolti un dente doloroso che puntualmente ogni anno tornava a farci male.  Serviva l’anestesia giusta, la mano del dentista bravo. Serviva il momento perfetto per annientare quel fastidio forse diventato pure mentale, psicologico.

Domenica, allo “Stadio dei Marmi”, al gol di Giani, ogni tifoso della Spal o almeno, tutti quelli che hanno seguito frequentemente i biancazzurri negli ultimi anni, si sono cavati un peso dalla pancia non indifferente. Un masso enorme, mai digerito.

Me le immagino le facce dei tifosi spallini, ciascuno con la propria storia che merita rispetto a prescindere: chi commosso, chi incredulo, chi indietro con la memoria di 20 anni, provando la stessa pazza, incontenibile goduria del gol dello ‘Zio’ con il ‘pallonenelsetteolè’ a Bologna.  All’epoca io mi presi una monetina addosso perchè mi ero alzato ad esultare sul 2 a 0 di Olivares. Avevo 13 anni. Una vita fa. Troppo tempo.

Ci sono partite, nella storia del calcio, che hanno una genesi unica, quasi mistica, e sono incancellabili: ho amici interisti che si sono comprati la cassetta (made by Gazzetta, of course) della famosa “remuntada” contro la Samp, io ogni tanto mi godo il gol Tomasson-Inzaghi di stinco-tibia-fuorigioco al 96° di un Milan-Ajax di Champions. Una simpatia mai celata, ma una realtà a 250 chilometri da qui. E io sono di Ferrara, tifo per la squadra della mia città, a prescindere.

Ora, finalmente, quando vorrò sentirmi bene magari dopo una giornata di lavoro piena di rotture di maroni oppure al limite dell’esaurimento per uno scazzo ‘femminile’, mi metterò davanti al pc e caricherò il gol di Nicholas Giani da Como, difensore classe 1986. Un toccasana, un antistress.

Suo il gol del 2 a 1 al 92° e qualche secondo. Suo il gol della vittoria, appena dopo quello del pareggio realizzato da Finotto. Roba da diventare matti, da non capirci più nulla. Enon è il valore attuale, comunque importantissimo, a rendere speciale quella rete. In quel sinistro a giro, a fil di palo, c’è tutto un carico di storia recente (e per qualcuno forse ancora più lontana) che forse abbiamo lasciato dentro la rete dello stadio di Carrara.

Come uno ‘strozzino immaginario’ che tanto ti toglie e ogni tanto, poi, ti restituisce, con gli interessi.

E’ stato come uscire da quel dannatissimo oblò di sfiga che ci tormenta, nel giorno in cui l’appuntamento conta.  Perchè, quel tipo di appuntamento l’abbiamo sempre ‘ciccato’. Sempre. Vincere in 120 secondi una partita praticamente già persa, attraversa le barriere della semplice partita di calcio. E’ qualcosa di magico.

Lo stupore e quella sensazione nuova nel pensare che, si, ‘forse una volta un po’ di culo anche a noi’. Uno scenario impensabile che ci ha fatto assaggiare la sensazione di poter arrivare al derby, tra due domeniche, con un solo punto da recuperare alla Reggiana, la ‘nemica’ di sempre e l’illusione per assurdo  di giocarci i playoff nella partita più sentita, anche solo la possibilità di avere di immaginare uno scherzo ai loro danni, il peggiore di tutti, in casa loro, un gusto incredibile. Adrenalina. Un sogno.

Poi certo, il destino di ‘sfigati’ cosmici non si è dimenticato di noi nemmeno nella domenica ‘dei miracoli’, aiutato anche dalle stranezze del calcio con un rigore al “Mapei” all’ultimo dei 7 (sette!!!) minuti di recupero. Ma andiamo oltre, il calcio nel bene e nel male è anche questo.

Sarebbe stata la giornata indimenticabile. E per chi di giornate perfette nella storia ne ha vissute poche, era pretendere sin troppo. Ci siamo presi una secchiata d’acqua ghiacciata, come quando ti danno prima lo zuccherino e poi lo sciroppo amaro. Ma la vittoria a Carrara, il come è arrivata, ha un valore simbolico troppo profondo.

Mi spiego. Forse sono diventato grande, sono invecchiato pur senza volerlo mai fare, e mi lascio prendere dal romanticismo: lunedì mi sono trovato davanti alla foto (quella di supporto a questo pezzo; ndr) dei ragazzi della Ovest nel settore ospite, al fischio finale. Attaccati alle recinzioni, a cavalcioni delle ringhiere: uno sopra l’altro, le facce urlanti di gioia, pugni e bandiere alzati. Tarantolati, scatenati, bellissimi. Urlanti, quasi a buttare fuori dei blocchi di marmo di sofferenza.

Tanti miei coetanei, molti amici, tantissimi con cui ho vissuto dei pomeriggi domenicali di sofferenza immane ed altri probabilmente ne vivrò. Come ha scritto su Fb in maniera non banale il mio amico Marcello, “alla fine sei contento per la tua curva, la tua gente, i tuoi amici. Mina parchè ià vint!”. Ha ragione. Lui, come tanti altri, conosce il significato dell’esserci e soffrire, prima del risultato.

E allora, in questo senso, guardando quella foto mi sono passate davanti un sacco di cose. Ho visto la mia generazione, 30enne (anno più o anno meno). Quella che non aveva forse ancora la lucidità per capire bene cosa fosse successo a Verona con il Como, che però ha goduto a Bologna per il già citato gol dello ‘Zio’ Giorgio. Che ha pianto per il Champ facendo fuoco da scuola per andare in Duomo al funerale.

Che poi il Como se l’è comunque trovato davanti a Ferrara, vedendo segnare proprio Zamuner, lui Giorgione, lo ‘Zio’, uno dei 6 gol con cui i lombardi ci mandavano fuori dai play-off.

Sicuramente, gli spallini della mia generazione, si ricordano bene – e sorridendo – di De Biasi e i gol del Cance in rovesciata. Così come non si dimenticano la retrocessione ai playout con l’Alzano.  Si ricordano di aver visto centinaia di giocatori, decine di allenatori, alcuni Presidenti o presunti tali. Si ricordano soprattutto il tribunale, il lodo Petrucci, il marchio storico e quello che a Ferrara abbiamo chiamato “farlocco”.

Si ricordano un Centenario festeggiato a metà e quella stramaledetta trasferta di Cesena in 1000 e passa.

Si ricordano le sconfitte a Rovigo – e quella a Porto Tolle -. Si ricordano i magoni su campi dimenticati non solo da chi governa questo mondo ma probabilmente anche dagli stessi abitanti. Ponte Sansovino, Capannoli, Pagani. I primi tre nomi di una lista infinita a cui non voglio ripensare. Si ricordando la serie D, il punto più basso.

Ne, hanno mangiato, ne abbiamo mangiato di fango. Ma che dico mangiato: divorato, a palate.

Quando lo raccontiamo a gente che non ha nemmeno la percezione di cosa voglia dire tifare ed aver tifato Spal, questa ci guarda stranita, compassionevole. E la cosa ci fa incazzare.

Abbiamo ricominciato a respirare aria buona a maggio del 2014, con una promozione/salvezza da festeggiare, perchè era troppo, troppo tempo che non potevamo farlo. Ci siamo sentiti finalmente liberi.

E siamo arrivati alla partita di Carrara, toccando forse le emozioni del “Paradiso” calcistico che a noi, cazzo, erano sconosciute da tanto, troppo tempo.

Una domenica da eroi, di quelle che si sognano.

Non abbiamo vinto nulla, non abbiamo fatto nulla. La Reggiana è sempre davanti, a + 4. Vicina ma anche lontana, pensiamo ogni giorno al sogno, al “Non succede ma se succede”.

Se succede, o se succederà, ce lo siamo meritati. Punto. Come ci siamo meritati domenica 26 aprile 2015.

E chissefrega di come andrà a finire, è stato dannatamente bello.

Forza Spal.

Fede

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