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16 Marzo 2015

Visti da vicino

di Gianni Fantoni | 3 min

A volte, soprattutto in questo periodo storico dove i guadagni sono vicini allo zero, penso di fare questo mestiere più per il dietro le quinte che per il davanti. Gli incontri che il destino mi ha messo davanti hanno rappresentato delle ricompense ben più alte di qualsiasi stipendio, e anch’io, paradossalmente, ogni tanto m’invidio un po’. Il periodo d’oro dello spettacolo in Italia – più che altrove – si è esaurito da un pezzo e i veri miti non esistono più, almeno nel campo artistico. Da noi non sono più gli attori ad essere richiesti come testimonial nelle pubblicità, ma sono i soli sportivi – leggasi “calciatori” – ad evocare esotismi commerciali, e questo la dice lunga. Non avremo più quella copiosa messe di talenti che popolava i sogni del pubblico, i Sordi, i Gassman, i Tognazzi e compagnia.

Alcuni di loro, per fortuna, sono riuscito a conoscerli, a sfiorarli, a stringere loro la mano, anche a parlarci. Poche parole, anche comuni, ma dette da loro sono state illuminate, perdendo la banalità. Mi sento molto ragazzino in questo, e ne sono felice.

Una sera ho cenato con Vittorio Gassman. Era seduto proprio di fronte a me, ad un tavolo in cui eravamo 6 in tutto. Lo guardavo incredulo, lo ascoltavo senza fiatare. Ad un certo punto gli ho offerto del vino. Ha rifiutato, cortesemente, spiegando con la sua voce alla Gassman: «No, basta, grazie! Non posso bere più vino, il mio medico me l’ha proibito. Negli anni ’50 sono stato sempre ‘mbriaco, mi sono già bevuto allora tutto quello che mi potevo bere in questa vita.» E, assolutamente sobrio e omone di quasi 2 metri quale era, dopo cena s’infilò in un ascensore per andarsene a dormire, affascinando forse involontariamente un paio di ragazze che, pur sapendolo ben più che settantenne, decisero di seguirlo, non si sa con che esito.

Con Alberto Sordi ho passato tre giorni interi, mangiando gomito a gomito a pranzo e cena in quel di Cormayeur, nel 1998. Era lì per un ciclo di seminari sui suoi film come regista e gli organizzatori mi avevano invitato in qualità di semplice fan, sapendo di farmi un regalone. Il primo incontro è nella hall dell’hotel. Me lo immaginavo più alto. Lui, non l’hotel. Aveva già quasi ottant’anni e posso dire che li dimostrava tutti, anche se lo spirito e la velocità del pensiero e della parola erano superiori a quelli di un ventenne. Una sera dopo cena usciamo dal ristorante e sopra di noi c’è un cielo sereno e stellato da far invidia alla Disney. Sordi, romano de Roma, in un cappotto di cammello e colbacco peloso, dichiara «Domani nevica», sotto lo sguardo sbigottito dall’organizzatore indigeno, che sorride sornione contraddicendolo simpaticamente. Sordi rilancia: «Che tte voj scommètte? ‘na palazzina, ‘no yacht?…» Poi si gira verso di me e dice: «Tu sei testimone, eh?» Si accordano per una mantella, secondo la bizzarra richiesta del Maestro. Il mattino dopo guardo fuori dalla finestra appena sveglio: 40 centimetri di neve! L’organizzatore m’incontra della hall e mi chiede preoccupato se secondo me Sordi la sera prima stava scherzando. No, non scherzava. Esce di corsa a cercare la mantella per tutta Courmayeur, ma non la trova. Incontra il Maestro e costernato dice di non essere in grado di pagare la scommessa perché non si trova l’oggetto del desiderio. A sopresa, Sordi gli indica un vicino negozietto: l’unico in cui il debitore non era ancora stato. Dopo pochi minuti ritorna con una mantella nuova fiammante. Era in vetrina e, come gli ha raccontato la signora del negozio nell’incartargliela, «pensi, ieri è passato di qui Alberto Sordi e se l’è anche provata!»

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