Cronaca
15 Gennaio 2015
Francesco Bisquoli morì nel 2011 per neoplasia polmonare. La famiglia si oppone all'archiviazione

Amianto killer, indagati ex vertici Montedison

di Ruggero Veronese | 4 min
petro

(immagine del petrolchimico)

Morì dopo 16 anni di sofferenze e vani tentativi di cura, stroncato da una neoplasia polmonare che, secondo i suoi familiari, fu causata dall’elevata e costante esposizione all’amianto con cui era a contatto nello stabilimento Montedison (poi ceduto a Enichem), nel petrolchimico estense. Un’esposizione a cui Francesco Bisquoli sarebbe stato sottoposto per oltre 30 anni, dal 1962 al 1994, tanto che la certificazione di malattia professionale gli fu riconosciuta sia dal medico del lavoro dello Spisal di Rovigo, agli inizi del 2011,  che dall’Inail nel marzo 2012. Ma l’operaio ferrarese era già morto nel maggio precedente, a causa di quel tumore diagnosticato nel 1994 e subito riconosciuto come non asportabile.

Una vicenda che finì sotto l’attenzione della magistratura dopo l’esposto di parte presentato attraverso l’avvocato Monica Guerzoni dal figlio di Bisquoli, Renato. Fu allora che la procura di Ferrara aprì un fascicolo per omicidio colposo che vede ora iscritti al suo interno undici ex manager locali e nazionali e rappresentanti legali Montedison ed Enichem, tra i quali non mancano nomi illustri e vecchie conoscenze legate a una vicenda simile e che fece parecchio scalpore in Italia: il processo Montedison a Mantova. Che nell’ottobre scorso ha visto due assoluzioni e dieci condanne in primo grado per i manager indagati a vario titolo per la morte di 73 operai (ma le condanne si riferiscono solo a 11 di questi) esposti per anni al benzene. Come Giorgio Mazzanti (amministratore delegato Montedison dal 1970 al 1973 – e, curiosità di cronaca, secondo numerose ricostruzioni finito nella lista della loggia massonica P2 con la tessera 454 -, condannato a cinque anni di reclusione), Pier Giorgio Gatti (condannato a 7 anni e mezzo), Giorgio Porta (già presidente di Federchimica e di Enichem, assolto nel processo mantovano), Paolo Morrione (vice direttore generale della gestione prodotti della Divisione Materie Plastiche dal 1979 al dicembre 1980, condannato a cinque anni e mezzo), Andrea Mattiussi (già amministratore delegato della Montedipe – società confluita da Enimont all’Enichem del Gruppo Eni – condannato a quattro anni), Gianluigi Diaz (vice direttore della Divisione Materie Plastiche dal 1976 al 1979, condannato a quattro anni e mezzo) e Amleto Cirocco (condannato a otto anni e dieci mesi). Oltre a questi, nel fascicolo della procura ferrarese, si aggiungono anche Giovanni Antonio Puerari, Luigi Guatri e Giuseppe Balestrieri. Una lista di ‘top manager’ che vede come difensori anche diversi nomi illustri, tra cui gli avvocati dello studio legale di Paola Severino, ministro della giustizia durante il governo Monti.

Bisquoli, come premettevamo, morì nel maggio 2011 per la neoplasia polmonare che gli fu riscontrata nel 1994. Ma i suoi problemi di salute erano cominciati assai prima: già nel luglio del 1977 l’operaio fu ricoverato per bronchite asmatica nell’ospedale di Tresigallo, il cui referto medico spiegava che l’uomo avrebbe dovuto evitare “l’esposizione professionale da ambiente contenenti polveri e gas irritanti per l’apparato respiratorio”, sottolineando come “il fattore occupazionale rappresenta di sicuro un importante fattore di progressione della malattia”. All’epoca Pisquoli lavorava nell’impianto XXV, ma anche dopo il trasferimento, tre anni dopo, nel reparto magazzino – secondo la querela dei suoi familiari – l’esposizione continuò. Nel frattempo Montedison cedette il proprio comparto chimico ad Enichem e l’operaio continuò la sua attività per il gruppo Eni fino alla definitiva diagnosi del suo tumore, nel ’94. All’inizio del 2011 lo Spisal di Rovigo riconobbe il suo stato di malattia professionale e il 29 marzo 2012 anche l’Inail certificò la sua esposizione all’amianto durante la gestione Enichem dello stabilimento.

Tutti elementi sottolineati nell’esposto della famiglia Bisquoli, che durante l’udienza di opposizione all’archiviazione ha fatto opposizione (il gip si pronuncerà alla prossima sessione) alla richiesta di archiviazione per gli imputati del pm Filippo Di Benedetto. La difficoltà principale nell’inchiesta, come spesso capita in questo genere di vicende, sta nell’accertare una correlazione diretta tra l’esposizione all’amianto e l’insorgere del tumore mortale. Una situazione che ancora una volta ricorda da vicino quella del processo mantovano in cui, nonostante le condanne per la morte di 11 dipendenti, furono ben 63 i casi di malattia mortale per i quali non fu comprovata alcuna correlazione diretta tra il posto di lavoro e l’insorgere della malattia.

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