Attualità
8 Novembre 2014

Conosco un Mago

di Elena Bertelli | 5 min

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Avete mai conosciuto un mago? A chi bazzica il mondo dell’arte, per esempio, l’incontro con la magia può capitare spesso. Proprio qualche mese fa, grazie al Direttore di questa testata giornalistica, ho conosciuto Ivano Fabbri, quell’artista che si fa chiamare Fabbriano e, dopo aver tentato più volte, inutilmente, di carpire i segreti della sua arte, interrogandolo, mi sono arresa all’impenetrabilità di un mistero che si compie per mano di un mago. Da questo senso di rassegnazione, e dall’insistenza di Marco Zavagli, è nata l’idea della mostra personale che inaugura oggi alla Galleria Alda Costa di Copparo. Il titolo, ‘Tempeste’, che è piaciuto molto al Maestro, è un riferimento all’opera Shakespeariana, in cui, sovente, la magia è definita come Arte con la A maiuscola.

Conoscere Fabbriano ha fatto maturare in me la consapevolezza che certi segreti, in Arte come in Natura, per quanto possano essere indagati, vogliono restare impenetrabili. Occorre perciò – e questo è un monito per me stessa e tutti i visitatori della mostra – rassegnarsi a osservare e lasciarsi trasportare da ciò che si vede, godendo della meraviglia suggerita ai nostri occhi.

manifesto a3 fabbriano

Locandina della mostra ‘Tempeste’

Tempeste è una mostra di opere realizzate dagli anni Novanta a oggi che rappresentano le ultime tappe di un percorso creativo in continua e inarrestabile evoluzione, dagli anni Sessanta ai giorni nostri.

In questi lavori di medio e piccolo formato sono evidenti alcuni elementi distintivi della pittura di Fabbriano: la convivenza tra immagini classiche e un segno informale che le sveste dei loro panni iconografici. Ci sono poi diversi omaggi all’espressionismo cui l’artista si avvicinò agli inizi della carriera e che qui si manifestano in figure che si stagliano nel nero di un’ombra e mantengono la propria dignitosa posa introspettiva, alienata dal mondo.

Ci sono suggestioni di vita austriaca, nei frammenti raccolti tra le strade di Vienna e nascosti tra le ante scardinate di un portone e i titoli in lingua tedesca.

Conoscere Fabbriano e osservare i suoi lavori è entrare in contatto con un universo che più lo esplori e più ti confonde, lasciandoti disorientato e arricchito, come ci si può sentire al termine di uno spettacolo di magia o come devono essersi sentiti gli uomini vomitati dalla furia del mare sull’isola abitata da Prospero e Miranda ne La Tempesta di William Shakespeare, che ha ispirato il titolo di questa mostra.

Come nel dramma seicentesco, oggi, dentro la Galleria Alda Costa, ci troviamo davanti a un’Arte magica che produce “qualcosa di ricco e strano” cui facciamo fatica a dare un senso che non sia quello di voler stupire e disorientare. Al termine del percorso lo stregone ci avrà condotti nel suo universo di oggetti misteriosi, porte che ci lasciano intravedere un oltre sconosciuto, frammenti di carta con parole indecifrabili e magma nero da cui tutto prende vita. Tutte queste componenti sono tenute insieme dalla pittura, grazie a tecniche difficilmente decifrabili; ci basti sapere che è proprio grazie alla pittura che il fenomeno si compie e gli oggetti si uniscono in una composizione, privati del loro significato, in un lavoro mai uguale a un altro.

Non occorre erudizione per entrare in sintonia con la pittura del Maestro, ogni immagine utilizzata, rielaborata, dipinta e stratificata, è stata, infatti, sganciata dal proprio riferimento culturale e si trova incastonata in un terreno denso di mistero, che affascina e rapisce, regalando allo spettatore il senso della scoperta.

Tempeste trasforma la Galleria Alda Costa nel teatro di un’avventura a cinque tese sott’acqua, cui il pubblico è chiamato a partecipare. Non si richiede alcun equipaggiamento ma solo il coraggio di affrontare un percorso visivo ed emozionale, armati della consapevolezza che se ne uscirà profondamente cambiati.

Lo stesso Marco Zavagli che conosce Fabbriano da un bel po’, ha raccontato le emozioni provate, fin da bambino, in ogni incontro con le sue opere. Riporto integralmente il testo del Direttore di Estense.com, scritto per il catalogo della mostra, certa che i lettori apprezzeranno.

“Fabbriano fa parte della mia infanzia. Di quella parte di infanzia che costringe a sognare. Ricordo le sere in cui i genitori mi portavano a vedere i suoi quadri nella sua casa-atelier. Guerrieri senza volto, penombre misteriose imprigionate da colori, lame che parevano uscire dalla tela. E quegli oggetti strani che sembravano strappati ad altri piccoli mondi e finiti come per magia in mezzo a una cornice. Imparai molti anni dopo che quella magia era il collage. Un debito artistico verso Joseph Cornell, il cacciatore di immagini. Seppi ancor più tardi, me lo confidò Fabbriano, che era inutile attendere un volto in quelle figure.

Sulla tela basta il segno. Il pittore vi pone il non detto, il non raffigurato. Sarà il sogno – magari quello di un bambino – a cercarvi un viso o uno sguardo, a trovarvi il significato. E allora mi accontentavo di quel segreto. Ogni quadro veniva completato dalla mia fantasia. Il mistero fino a un attimo prima impenetrabile diventava fidato compagno di strada.

Man mano che il bambino cresceva il livello onirico lasciava a poco a poco spazio ad altre piccole epifanie. Il sogno poteva svegliarsi in ‘incubo’ cromatico. Quei detriti di classicismo disseminati come scorie lasciavano trasparire un sentimento di angoscia. Serviva ancora un piccolo salto di infanzia per capire che quei detriti disseminati come scorie erano in realtà oggetti ordinati come cimeli. Un antidoto alla decadenza, come mi spiegò l’autore tanti anni dopo.

La perfezione raggiunta in certe epoche, una su tutte il classicismo, non può essere usurpata dal tempo. E il timore di perdere quell’età dell’oro può trasformarsi in quelle penombre, in quelle lame impudenti, in quei marmi che seppelliscono i volti: tutte minacce, ostacoli, perché “dipingere è anche sofferenza interna e mostrare che la minaccia esiste è come esorcizzarla, è una sorta di difesa”.

A distanza di tanti anni, tanti quanti sono passati da quelle sere nella casa-atelier, posso dire che quell’età dell’oro, l’infanzia, rivive oggi nei quadri di questa mostra, Tempeste. La pittura di Fabbriano costringe ancora oggi a sognare. Forse perché ancora oggi, come dice il poeta rievocato in questo titolo dalla curatrice Elena Bertelli, “siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno [quello di un bambino davanti a un quadro] è racchiusa la nostra breve vita”.”

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