Pensieri stringati
15 Maggio 2014

Numero 2

di Paolo Simonato | 4 min

Esco di casa.

Accompagno cautamente il portone alla sua chiusura, perché mi infastidisce il rumore di quando sbatte, e cautamente muovo le prime falcate, aprendo di poco il compasso delle gambe.

Per la prima volta quest’anno corro con la maglietta a maniche corte e mentre mi avvio verso le mura e il mio appuntamento con Luca avverto per la prima volta quest’anno la freschezza dell’aria sulle braccia, che mi accarezza e nello stesso tempo mi fa sentire più indifeso rispetto alle auto che devo schivare prima di abbandonare Alfonso d’Este e infilare il viale alberato.

Luca sta raggiungendo a sua volta quello che per tutti i podisti ferraresi è semplicemente “l’alberone”, imprescindibile punto di riferimento e luogo di ritrovo; già prima di raggiungerci ci salutiamo in lontananza con la mano, quindi ci  abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza) e ci scambiamo i primi convenevoli.

Le mura sono semplicemente splendide. E’ una di quelle giornate in cui ti dispiace non avere con te una macchina fotografica, perché pensi che pur non essendo un buon fotografo probabilmente porteresti a casa delle belle immagini.

Sto  pensando questo quando Luca mi fa “hai visto?”.

“Che cosa?”

“L’aria. Hai visto l’aria?”

“Come l’aria? In che senso?”

“L’aria che non si vede. L’hai vista?” ribatte ancora lui, ridendo, mentre superiamo con falcate ormai più distese il cavalcavia della Prospettiva.

E’ vero.

L’aria oggi non si vede, ed è questo che ce la fa notare.

La luce di oggi, che rende così bello il panorama attorno a noi, al cui interno ci muoviamo e che fa da sfondo alla nostra corsa, è così speciale perché l’aria è perfettamente trasparente.

A Ferrara siamo abituati ad avere una sorta di filtro costante tra il nostro sguardo e il mondo, formato da una commistione grigiastra di umidità e inquinamento. Ci siamo abituati e non ci facciamo più caso; ce ne accorgiamo nel momento in cui questo filtro viene rimosso.

E’ come uscire per la prima volta dopo molti mesi con la maglietta a maniche corte, quasi come accorgersi per la prima volta di avere le braccia, e del fatto che anche loro partecipano al movimento della corsa.

“E’ vero” dico “l’aria si vede quando non si vede”.

E subito scatta un gioco: individuare quelle percezioni subliminali, appena al di sotto della consapevolezza, che hanno la caratteristica di giungere alla nostra coscienza nel momento in cui si interrompono.

“Gli orologi” comincia Luca “il ticchettio degli orologi”.

“Giusto; il ronzio del frigorifero mentre guardo la tv”.

“Le cicale d’estate, quando chissà perché smettono tutte insieme di frinire, e improvvisamente si avverte il silenzio”.

“La ventola del pc”.

“Il sapore dell’acqua in montagna quando finalmente è insapore, non sa di cloro o di ferro”

“Il rumore del traffico che non c’è, quando torni a casa molto tardi”.

“Il suono dei passi quando dopo un pezzo di ghiaia cominci a correre sull’erba”.

“Il battito del cuore” replico io andando sul professionale “dopo una extrasistole c’è una pausa di recupero, e di solito ci si accorge di quella e non del battito in più che c’è stato prima”.

Siamo sulla parte più bella delle mura e stiamo costeggiando dall’alto il cimitero ebraico.

“Le persone quando muoiono” dice Luca, e lo dice quasi sussurrando, perché il gioco adesso ha sfiorato qualcosa di doloroso.

Per qualche decina di metri non parliamo, ascoltando il nostro respiro e lasciando scorrere qualche ricordo.

Sento la mia voce rompere il silenzio: “è come se avessimo messo sullo sfondo qualcosa perché si riproduceva in maniera costante; e paradossalmente la nostra coscienza si accorge che quel qualcosa c’era nel momento in cui viene a mancare“

“E’ un peccato” dice Luca.

“Forse sì. O forse no. E’ impossibile rimanere sempre coscienti di tutto e di tutti, mantenere tutto e tutti in primo piano; la nostra coscienza continuamente, inevitabilmente filtra, mette il silenziatore ad alcune cose. Quasi a tutte, anzi”.

“Però è un peccato; per certe cose è un peccato”.

Abbiamo completato il nostro giro, e torniamo a quello che per tutti i podisti ferraresi è semplicemente “l’alberone”.

Ci fermiamo e per una frazione di secondo avvertiamo un lieve sbandamento: il nostro sistema vestibolare aveva messo sullo sfondo il movimento, non facendocelo avvertire più, ed ha bisogno di riadattarsi alla nuova situazione di immobilità.

“E lui?” domanda Luca accarezzando la corteccia “non è che abbiamo messo sullo sfondo anche lui?”.

Le mani sui fianchi alziamo lo sguardo. Sentiamo il sudore che ci scorre sulla pelle, il nostro respiro, il nostro cuore. Vediamo la fronda maestosa, quasi paterna. E vediamo l’aria, che muove delicatamente le fronde più alte.

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