Se niente importa
14 Marzo 2014

Green Hill, la fuga dal lager

di David Zanforlini | 4 min

(seconda parte)

5.2 IL RACCONTO

A questo punto del racconto la ragazza entrò più nel dettaglio: raccontò che passando a fianco della recinzione, impressionata dalle difese che lo circondavano  – descriveva di avere visto una doppia fila di reticolati, alti anche tre metri, sormontati da diversi ordini di filo spinato e  intervallati da una duplice serie di matasse di filo d’acciaio, cui erano saldate lame da rasoio modellate: veri strumenti da guerra, uguali a quelle tristemente usate nella “terra di nessuno”, durante la Grande Guerra – più ampie, addirittura, di quelle che siamo abituati a vedere attorno ai siti militari sul nostro territorio nazionale.

Continuò asserendo che aveva seguito gli altri partecipanti che, in un punto meno protetto, erano riusciti a costruire una specie di scala per poter scavalcare il reticolato, utilizzando una vecchia rete da letto, rinvenuta per caso nelle vicinanze, e così facendo era entrata nel sito dell’allevamento, colo solo scopo di vedere cosa succedeva in quella azienda.

Scavalcata la recinzione, da sola si era aggirata nell’azienda deserta (era un sabato e dei dipendenti non vi era nessuna traccia), per poi notare alcune persone (altri manifestanti) uscire da uno dei capannoni.

Avvicinatasi aveva potuto notare che l’unica porta di accesso era aperta e, incuriosita, era entrata.

Appena dentro era stata colpita, da principio, dall’odore acre e stagnante, molto intenso, che permeava tutto l’ambiente, e notava che non vi era neanche una finestra alle pareti. Sentiva anche un “silenzio” impressionante ed innaturale. A questo punto non poteva fermarsi e, incuriosita, iniziava a percorre un corridoio lungo un centinaio di metri ai cui lati erano collocate le gabbie, in duplice fila, che contenevano centinaia e centinaia di cani, alcuni molti piccoli, altri con ferite evidenti, forse conseguenti ad un recente parto “cesareo”.

Sconvolta dall’immagine a cui aveva assistito, dopo pochi minuti, fuggiva da questo “lager” e, proprio in quel momento, appena uscita, veniva fermata da due Carabinieri che la arrestavano di fronte a centinaia di altri manifesanti rimasti fuori dal sito dell’azienda e che erano rimasti semplici spettatori della scena.

Unita ad altre due persone, anch’esse in stato di arresto, veniva affidata al Comandate della Polizia Municipale di Montichiari che, caricatele su di una auto di servizio, si avviava per condurle presso il locale Comando di Polizia per i normali adempimenti prescritti dalla procedura di fermo.

Durante il tragitto il Comandante, però, fermava l’auto di servizio, perché avvisato da colleghi via radio della presenza, nelle strade di quel Comune della Provincia bresciana, di alcune persone che si aggiravano conducendo dei beagles.

Lasciate le persone già arrestate in auto, questo Comandante di Polizia Municipale fermava altre due persone che effettivamente avevano in braccio tre beagles femmina, entrambe in evidente stato di sofferenza, sequestrando loro gli animali.

Ora, dal racconto della ragazza emersero da principio alcune evidenti stranezze: la prima che balzò evidente all’avvocato fu che il Comandante della Polizia Municipale restituì immediatamente i cani sofferenti, senza nemmeno interpellare un veterinario estraneo all’azienda, preferendo piuttosto riconsegnarli al personale della ditta Green Hill srl, che nel frattempo era giunto sul luogo, senza nemmeno verificare il motivo della loro stato di sofferenza (si trattava per la precisione di tre fattrici, perciò tre beagles adulte). Certo è che uno di questi cani, che presentava una particolarissima ed evidentissima cicatrice ad “y” rovesciata sul muso, non venne mai più trovato, nemmeno dopo il sequestro di Green Hill e l’affidamento di tutti i cani rinvenuti nell’allevamento, sequestro intervenuto dopo appena due mesi e mezzo dai fatti in questione.

La seconda particolarità che faceva pensare ad una violazione di legge commessa dall’azienda, riguardava l’assenza di finestre (e quindi anche di luce diretta) negli stabulari.

La terza ed ultima evidente stranezza (almeno per ora), riguardava l’assenza di zone idonee per lo sgambamento all’esterno dei capannoni destinati all’allevamento: infatti, durante il colloquio, la circostanza venne verificata immediatamente grazie al servizio satellitare disponibile sul web: il risultato fu che dalla foto area di quel sito, posto come si diceva su di una collina nelle immediate vicinanze del centro del Comune di Montichiari, in una zona circondata da terreno coltivato e non urbanizzato, non si notava altro oltre i capannoni, se non una piccolissima aerea, presumibilmente di circa 300 mq, certamente insufficiente per il numero di beagles allevati in quel sito: si parlava di almeno 2.700 (alla fine ne vennero rinvenuti 2.639, oltre a circa 100 carcasse di beagles morti).

Ovviamente il racconto, oltre a risultare agghiacciante dal punto di vista etico, mostrava anche aspetti che dovevano essere approfonditi e verificati.

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