Se niente importa
1 Marzo 2014

Il caso Green Hill

di David Zanforlini | 5 min

Pubblico a puntate sul blog il primo capitolo del libro di cui sono coautore “La tutela degli animali”

“LA NUOVA TUTELA PENALE DEGLI ANIMALI”

Il caso Green Hill

a Luna

5.1 LA GENESI

Il 29 aprile del 2012, durante una manifestazione organizzata da una associazione no-profit chiamata ad hoc “Occupy Green Hill”, tenutasi nel Comune di Montichiari, alcuni dei partecipanti entrarono nell’azienda denominata appunto “Green Hill”, situata su di una verde collina nelle vicinanze del centro cittadino: per fare ciò scavalcarono una doppia fila di reticolati difesi da filo spinato di foggia militare, posti a protezione di quel sito.

Nella quasi immediatezza, intervennero le Forze dell’Ordine e vennero arrestate tredici persone. Una di queste, minorenne, venne immediatamente scarcerata, mentre le altre dodici vennero tutte trattenute in stato di arresto per la presunta violazione di reati estremamente gravi, come rapina, furto, resistenza e violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento.

All’udienza di convalida dell’arresto, celebrata il 30 aprile successivo, il G.I.P. del Tribunale di Brescia ritenne di scarcerare tutti gli arrestati, e, contestualmente, di applicare loro una misura cautelare attenuata (per lo più, venne comminato il divieto di accesso al Comune di Montichiari).

Una di queste persone, il 2 maggio successivo, si recò da un avvocato del Foro di Ferrara, il quale stette ad ascoltare la sua storia, dalla partenza da Ferrara, nella mattinata di quel fine settimana, sino all’arrivo a Montichiari e quindi la marcia fino al sito in cui è collocata l’azienda denominata Green Hill.

Prima di terminare il preambolo ai fatti che poi portarono al suo arresto, questa persona raccontò all’avvocato tre circostanze importanti: che lei era divenuta vegana ed animalista da qualche tempo (prima era vegetariana); che era la prima manifestazione a cui aveva partecipato in vita sua; ultima, ma più importante circostanza, che la ditta Green Hill s.r.l. era la proprietaria del più grande allevamento di cani d’Europa, tutti di razza beagle, destinati alla sperimentazione, chiamata comunemente “vivisezione”.

 

5.2 IL RACCONTO

A questo punto del racconto la ragazza entrò più nel dettaglio: raccontò che passando a fianco della recinzione, impressionata dalle difese che lo circondavano – descriveva di avere visto una doppia fila di reticolati, alti anche tre metri, sormontati da diversi ordini di filo spinato e intervallati da una duplice serie di matasse di filo d’acciaio, cui erano saldate lame da rasoio modellate: veri strumenti da guerra, uguali a quelle tristemente usate nella “terra di nessuno”, durante la Grande Guerra – più ampie, addirittura, di quelle che siamo abituati a vedere attorno ai siti militari sul nostro territorio nazionale.

Continuò asserendo che aveva seguito gli altri partecipanti che, in un punto meno protetto, erano riusciti a costruire una specie di scala per poter scavalcare il reticolato, utilizzando una vecchia rete da letto, rinvenuta per caso nelle vicinanze, e così facendo era entrata nel sito dell’allevamento, colo solo scopo di vedere cosa succedeva in quella azienda.

Scavalcata la recinzione, da sola si era aggirata nell’azienda deserta (era un sabato e dei dipendenti non vi era nessuna traccia), per poi notare alcune persone (altri manifestanti) uscire da uno dei capannoni.

Avvicinatasi aveva potuto notare che l’unica porta di accesso era aperta e, incuriosita, era entrata.

Appena dentro era stata colpita, da principio, dall’odore acre e stagnante, molto intenso, che permeava tutto l’ambiente, e notava che non vi era neanche una finestra alle pareti. Sentiva anche un “silenzio” impressionante ed innaturale. A questo punto non poteva fermarsi e, incuriosita, iniziava a percorre un corridoio lungo un centinaio di metri ai cui lati erano collocate le gabbie, in duplice fila, che contenevano centinaia e centinaia di cani, alcuni molti piccoli, altri con ferite evidenti, forse conseguenti ad un recente parto “cesareo”.

Sconvolta dall’immagine a cui aveva assistito, dopo pochi minuti, fuggiva da questo “lager” e, proprio in quel momento, appena uscita, veniva fermata da due Carabinieri che la arrestavano di fronte a centinaia di altri manifesanti rimasti fuori dal sito dell’azienda e che erano rimasti semplici spettatori della scena.

Unita ad altre due persone, anch’esse in stato di arresto, veniva affidata al Comandate della Polizia Municipale di Montichiari che, caricatele su di una auto di servizio, si avviava per condurle presso il locale Comando di Polizia per i normali adempimenti prescritti dalla procedura di fermo.

Durante il tragitto il Comandante, però, fermava l’auto di servizio, perché avvisato da colleghi via radio della presenza, nelle strade di quel Comune della Provincia bresciana, di alcune persone che si aggiravano conducendo dei beagles.

Lasciate le persone già arrestate in auto, questo Comandante di Polizia Municipale fermava altre due persone che effettivamente avevano in braccio tre beagles femmina, entrambe in evidente stato di sofferenza, sequestrando loro gli animali.

Ora, dal racconto della ragazza emersero da principio alcune evidenti stranezze: la prima che balzò evidente all’avvocato fu che il Comandante della Polizia Municipale restituì immediatamente i cani sofferenti, senza nemmeno interpellare un veterinario estraneo all’azienda, preferendo piuttosto riconsegnarli al personale della ditta Green Hill srl, che nel frattempo era giunto sul luogo, senza nemmeno verificare il motivo della loro stato di sofferenza (si trattava per la precisione di tre fattrici, perciò tre beagles adulte). Certo è che uno di questi cani, che presentava una particolarissima ed evidentissima cicatrice ad “y” rovesciata sul muso, non venne mai più trovato, nemmeno dopo il sequestro di Green Hill e l’affidamento di tutti i cani rinvenuti nell’allevamento, sequestro intervenuto dopo appena due mesi e mezzo dai fatti in questione.

La seconda particolarità che faceva pensare ad una violazione di legge commessa dall’azienda, riguardava l’assenza di finestre (e quindi anche di luce diretta) negli stabulari.

La terza ed ultima evidente stranezza (almeno per ora), riguardava l’assenza di zone idonee per lo sgambamento all’esterno dei capannoni destinati all’allevamento: infatti, durante il colloquio, la circostanza venne verificata immediatamente grazie al servizio satellitare disponibile sul web: il risultato fu che dalla foto area di quel sito, posto come si diceva su di una collina nelle immediate vicinanze del centro del Comune di Montichiari, in una zona circondata da terreno coltivato e non urbanizzato, non si notava altro oltre i capannoni, se non una piccolissima aerea, presumibilmente di circa 300 mq, certamente insufficiente per il numero di beagles allevati in quel sito: si parlava di almeno 2.700 (alla fine ne vennero rinvenuti 2.639, oltre a circa 100 carcasse di beagles morti).

Ovviamente il racconto, oltre a risultare agghiacciante dal punto di vista etico, mostrava anche aspetti che dovevano essere approfonditi e verificati.

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