Attualità
15 Marzo 2013

Ferrara città eterna

di Elena Bertelli | 5 min

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A Roma, sulla via Ostiense, in un’area industriale oggi semi abbandonata c’era il primo impianto per la produzione di energia elettrica della città, la Centrale Montemartini, che ha smesso di funzionare alla fine degli anni ’80. Al suo interno non si generano più le migliaia di volts che servivano a illuminare la capitale, ma risplendono i bianchissimi marmi ritrovati durante gli scavi di fine ‘800, roba che viene addirittura dai tempi della repubblica, prima ancora che arrivassero gli imperatori a sfidarsi a chi costruiva la colonna più alta e l’arco trionfale più grosso. In un periodo in cui in Italia il recupero dell’archeologia industriale era prassi sconosciuta, i Musei Capitolini hanno sistemato parte della propria enorme collezione tra turbine e caldaie a vapore, in un dialogo serrato tra pesanti ghise e lucida pietra, quasi abbagliante agli occhi del visitatore. Una concezione che pone sullo stesso piano lo splendore dell’arte classica e la magnificenza del progresso industriale, aspirando a rendere eterni il passato più vicino e quello più passato, conservandoli in una dimensione di spazio senza tempo.

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Un tentativo ben riuscito di riqualificare un’area della città, tanto degradata quanto affascinante nel suo essere decadente, e rende fruibile una collezione che ha bisogno di molto spazio per essere esposta, costituendo frammenti di interi complessi monumentali, sopravvissuti sotto forma di divinità dalle vesti svolazzanti, barbute e muscolose antiche celebrità e una meravigliosamente assorta musa polimnia.

Nel frattempo, a Ferrara, nel centro della città, in via Boccacanale di S. Stefano si faceva il mercato coperto nell’edificio progettato da Giovanni Michelucci nel 1959, oggi occupato solo per metà da alcuni banchi stabili. Sempre a Ferrara, sulla riva sinistra del ramo del Po che arriva fino al mare, c’è uno stabile progettato dall’architetto Savonuzzi per ospitare i magazzini generali che, nel tempo, a tutto è servito tranne che a contenere le merci da trasportare sul fiume. Ancora, a Ferrara, compreso tra la cinta muraria e l’ultimo tratto pedonale di via Carlo Mayr, affacciato sulla piazzetta stipata di automobili in sosta, c’è lo scheletro di un’impalcatura che nasconde in malo modo la fenice storpia, risorta dalle ceneri del cinquecentesco ‘Teatro degli Intrepidi’.

Il fil rouge che ho srotolato dal Lazio alla mia terra emiliana collega tra loro casi di archeologia industriale e vuole porre all’attenzione del lettore le storie di emergenze da salvare, importanti ingranaggi del meccanismo urbanistico e potenziali contenitori di vita pubblica e pubblica utilità, seppur nati per assolvere a funzioni diverse.

img_4448_JPG_640x860_q85Esempi di grandi scatole svuotate dei loro contenuti e delle loro funzioni, costruzioni che vanno recuperate per altri scopi, se non vogliamo farle cadere nel degrado e nell’abbandono o, peggio, ritrovare al loro posto parcheggi multipiano o centri commerciali.

Attorno a questo tema ruota il programma di ‘Heritage Market, cultura fresca a lunga conservazione’ una manifestazione che si svolgerà nelle giornate di giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 marzo, proprio in quei luoghi da salvare di cui si parlava prima.

Così, all’interno del Mercato Coperto di via Santo Stefano, si terranno diverse manifestazioni gratuite e aperte al pubblico, durante le quali esperti del settore saranno chiamati a discutere di spazio urbano, della sua conservazione, rigenerazione, partecipazione, a raccontare esperimenti di economia creativa e a mostrare gli studi degli architetti ferraresi che saranno aperti ai visitatori (per scaricare il calendario dettagliato basta cliccare qui: http://culturadicitta.blogspot.it/p/a-click-forward-calendario_19.html).

Negli spazi degli Ex Magazzini Savonuzzi, gestiti dal consorzio Wunderkammer, si terrà sabato 23, alle 18.00 l’evento che conclude la manifestazione e apre, con una vernice, la mostra ‘Is Michelangelo dead?’ un omaggio di quattro artisti (Daniele Cestari, Silvia Forese, Enrico Pambianchi e Denis Riva) al cinema del maestro Antonioni.

Tanti momenti di approfondimento che si susseguiranno in un’esplosione di creatività e di cultura del saper fare, nell’intento di mettere insieme le idee per lo sviluppo di un piano culturale per la città, con la partecipazione di chiunque voglia intervenire e dare il proprio apporto.

Ma all’interno di questo programma c’è un’iniziativa decollata prima delle altre e alla quale chiunque può prendere parte, standosene comodamente seduto davanti al computer. Fino al 3 giugno è aperto il primo progetto di crowdfunding culturale dell’Emilia-Romagna e riguarda proprio quel Teatro Verdi di cui si attende da anni il restauro (http://it.ulule.com/cittacultura/). In breve si chiede a tutti i cittadini di contribuire, con almeno 5 euro, a riaprire temporaneamente i suoi spazi, così da poterli mostrare alla città e a tutto il pubblico che ogni anno accorre al Festival di Internazionale, creando affezione attorno a un luogo che potrebbe tornare presto nelle mani della comunità, se la comunità stessa lo volesse davvero.

Ho voluto con quest insieme di luoghi, costruzioni e iniziative, portare la testimonianza di una città che vive anche di realtà fatte di persone che lavorano sodo, investendo tempo e fatica in progetti sposati dalle amministrazioni e sostenuti dal cittadino che ne è il reale destinatario. Un insieme di attori e di azioni che possono condurre a un cambiamento che viene dal basso e agisce nel rispetto delle isitituzioni e delle regole. La mia speranza è di invogliare il lettore a unirsi alle danze, a rimboccarsi le maniche per ritrovare ciò che gli appartiene:

«Sono il padrone della città, lo sapete o no? Ve l’hanno fatto, il comunicato?»
Gli svedesi sorridevano e dicevano di sì, perchè non capivano ma erano gentili, e il barbiere si fregava le mani tutto contento:
«Una città simile per un taglio di capelli e una frizione! L’ho proprio pagata a buon mercato».
E invece si sbagliava e l’aveva pagata troppo. Perchè ogni bambino che viene in questo mondo, il mondo intero è tutto suo, e non deve pagarlo neanche un soldo. Deve soltanto rimboccarsi le maniche, allungare le mani e prenderselo.”*

*Gianni Rodari, ‘A comprare la città di Stoccolma’, in Favole al telefono, Torino, Einaudi, 1962

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