Chi ha vent’anni oggi è cresciuto con la constatazione ufficiale che è in corso un cambiamento climatico a causa dei gas serra derivati dalle attività umane. La parola -serra- riferita al pianeta Terra dovrebbe già metterci in allarme, invece ci stiamo adattando alla convivenza con l’aria irrespirabile e alle catastrofi ambientali provocate dal surriscaldamento del Pianeta. Nel 1992 a Kyoto venne siglato il primo accordo internazionale per invertire una rotta che, già allora, era allarmante. Vent’anni dopo – pensate all’età di vostra figlia che nel frattempo è diventata donna –la conferenza di Doha dei paesi Onu, appena conclusasi, Doha Climate Gateway, non riesce a far di meglio che allungare la scadenza di quel protocollo, riconoscendo che praticamente nessuno degli obiettivi è stato raggiunto. In primo luogo quello della riduzione delle emissioni di gas climalteranti, sostanzialmente quelli che producono anidride carbonica (CO2).
Al Protocollo non avevano mai aderito gli Usa, ora si sfilano Giappone e Canada e non entra la Cina, nel frattempo divenuta una potenza industriale di primo piano. Il rifiuto di sottoscrizione della Cina dipende dal fatto che, pur riconoscendo il problema, è in atto un contenzioso sull’attribuzione delle colpe e relativa richiesta di danni. La Cina, responsabile di circa 7 tonnellate annue procapite di emissioni di CO2 si sente meno responsabile degli USA che ne “vantano” 17 procapite, e da lungo periodo, e pertanto si arroga il diritto di non dover intervenire e di chiedere risarcimento danni, così come i paesi sottosviluppati pretendono il risarcimento dei danni causati loro dagli effetti dei gas climateranti determinati dalle emissioni dei paesi del nord.
Ne nasce un mercato delle emissioni e dei crediti esigibili. Veri e propri certificati che danno il diritto ai paesi ricchi industrializzati di continuare a produrre emissioni inquinanti pagando soldi a quelli poveri, i quali in cambio rinunciano alla loro parte di energia a rischio emissivo. Un po’ come quando invece di farti fare le ferie te le pagano e tu continui a lavorare. Diritto salvato ma affetto contrario! Dal 1 gennaio 2013, si è deciso alla conferenza sul clima di Doha, comincerà Kyoto 2, ma con un obiettivo di basso profilo, raggiungere entro il 2020 gli obiettivi che avrebbero dovuto essere raggiunti al termine dell’anno in corso.
I sottoscrittori (che però rappresentano solo il 15 % delle emissioni totali sono costituiti da Unione europea, Svizzera, Norvegia e Australia, mentre l’85% proviene da USA e Cina!) si sono impegnati anche a stanziare una somma, per lo meno pari alla media di quanto sborsato per gli aiuti ai paesi colpiti da eventi climatici negli ultimi tre anni. E di nuovo invece di misure preventive e riduttive delle emissioni, tutto si trasforma in soldi, mentre l’aria continua a peggiorare! Unica eccezione a questa monetizzatone del danno, la Bolivia – un paese già in prima linea nel 1990 contro la privatizzazione dell’acqua – oggi in solitaria alza la testa e dice, per bocca del suo ministro dell’ambiente, “il clima non è in vendita, non siamo venuti qui per negoziare il clima o per proteggere il business che aggrava un pianeta e un’umanità a rischio di estinzione. Siamo venuti con soluzioni concrete!”. Tra queste una gestione delle foreste non basata sul mercato bensì sulle comunità indigene.
Chi ha vent’anni oggi è nato quando era sulla scena mondiale la battaglia degli Anohami per la difesa dell’Amazzonia, con Sting a far loro da portavoce. Oggi sembra lontana quella battaglia per la sopravvivenza del polmone del mondo eppure nulla è migliorato, anzi è peggiorato! La conferenza di Doha, in cui gli stati si sono confrontati solo, solo della sopravvivenza del Pianeta è stata relegata notizia a margine tra le querelle politiche Pd con L o senza L, spread su o spread giù!