Il vescovo Luigi Negri e l’indignazione
Il nuovo arcivescovo della diocesi di Ferrara-Comacchio sarà mons. Luigi Negri. Da vescovo di S. Marino Montefeltro nel febbraio del 2011 rilasciò un’intervista al periodico Tempi in cui criticava l’azione della magistratura e difendeva l’operato pubblico dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi. A quella presa di posizione replicò, con una lettera aperta, il vescovo emerito di Ivrea Luigi Bettazzi.
Nell’intervista mons. Negri disse che l’indignazione non è un atteggiamento cristiano. Anche se alcuni invocano lo Spirito Santo e altri, sul fronte opposto, il carrierismo, non è bene essere indignati per la presente nomina. Nella Chiesa le cose, da sempre, vanno, più o meno, così. In un suo piccolo, abissale libro (tradotto in italiano con il titolo Diario di un dolore) C.S. Lewis scrive: «domattina un prete mi darà una piccola cialda rotonda, sottile, fredda e insapore. È uno svantaggio, o non forse in qualche modo un vantaggio, che questa cosa non possa ambire alla benché minima somiglianza con ciò a cui mi unisce?». Nella vita della Chiesa molte cose sono così, tra esse anche i modi in cui si nominano i vescovi. Non vi è alcuna somiglianza tra essi e ciò che nella fede la figura del vescovo significa. È uno svantaggio? È un vantaggio?
L’indignazione non è cristiana? Non solo i profeti e Giovanni Battista si indignarono, lo fece anche il Gesù dei Vangeli, in massimo grado di fronte ai «sepolcri imbiancati». L’indignazione è esigente, si può essere facilmente ipocriti anche nell’esercitarla, ma a volte, quando si è disposti a pagarne il prezzo, essa, oltre a un dovere civile, è anche segno pervicace di speranza.