Ringrazio tutti coloro che hanno risposto al mio appello. Ricordate? Vi avevo chiesto di scrivere all’indirizzo e-mail cicaliche.suburbane@gmail.com, per raccontare qualsiasi cosa di culturale ci fosse in programma per aiutarmi in questa ricerca e segnalazione di lucciole nel buio dei campi emiliani.
Ho ricevuto più che altro un insieme di proposte per la realizzazione di nuove idee, tutte degne di grande rispetto ma… non mi pare di aver mai scritto che le cicaliche sono esseri supereroici con poteri soprannaturali che basta un abracadabra e puf, ogni vostro desiderio irrealizzabile sarà realizzato.
Non è così semplice.
Pensate, ad esempio, al nostro Teatro Comunale, con le sue stagioni di prosa, danza e lirica, ognuna con un cartellone fatto di tanti spettacoli che si susseguono. E ogni messa in scena, replicata più di una volta, ha alla base una regia, attori, danzatori, tenori, costumisti, orchestrali, addetti alle luci, suggeritori, parrucchieri e truccatori.
Credo sia necessario far capire, anche ai più scettici, come, dietro a un progetto culturale di ampio respiro, ci sia tanta operatività. Lavoro di mani, di voce e orecchie, di teste pensanti all’unisono.
Chi ha il compito di gestire un’associazione culturale e curare un programma di iniziative artistiche sa bene che tutto va pianificato, a lungo termine, a partire da un obiettivo. Tutto parte da qui, ed è così semplice, a pensarci bene. È ciò che facciamo sempre nella vita quotidiana quando si presenta un bisogno o una necessità. Se decido, ad esempio, che voglio indossare una camicia con il colletto alla coreana, perché ho un collo lungo che vale la pena mostrare e uno spirito un po’ bohemien si è risvegliato in me, inizierò con l’informarmi sui negozi che in zona vendono l’articolo, cercherò di farmi un’idea dei prezzi, per risparmiare la cifra necessaria e poi, a quel punto, coinvolgerò un amico che mi sappia consigliare nella scelta del colore e della taglia che meglio esaltano la mia fisicità. Poi, una volta acquistato il prodotto, sarà tutta questione di portamento.
Anche l’arte è una questione di necessità, più che di portamento.
Quando i futuri soci fondatori del Centro Studi Dante Bighi, hanno capito che la Villa Bighi di Copparo non poteva restare lì chiusa invecchiata e dimenticata ogni giorno di più e che potevano essere le persone giuste per riaprirla al pubblico e farla rivivere, hanno cominciato a costruire un piano. Il Comune di Copparo, proprietario della casa, aveva indetto un bando per assegnarne la gestione e valorizzazione, indirizzato a gruppi di professionisti appartenenti all’ambito creativo (che una volta vinto il bando avrebbero dovuto creare un’associazione senza scopo di lucro). Il requisito principale era la stesura di un progetto culturale quinquennale.
Allora il gruppo di lavoro si è chiesto cosa si poteva fare in tutto questo tempo, con le forze a disposizione (3 architetti, un geometra, una laureanda in storia dell’arte, tanti amici volenterosi, coinvolti in corsa, zero economie) e che identità si voleva dare al progetto.
Si sono dati una serie di obiettivi, pensando a come si potevano raggiungere. Le idee devono essere piaciute perché oggi, a cinque anni di distanza dall’assegnazione del bando, si può dire che il Centro Studi Dante Bighi abbia ottenuto gran parte di quello che era stato pianificato, senza mai avere un debito con qualcuno o chiedere aiuti economici all’amministrazione.
I risultati, sui quali non posso dilungarmi ora, si possono misurare in termini di rimessa in sesto della villa copparese, valorizzazione della sua collezione e della figura di Dante Bighi, ideazione e svolgimento di iniziative culturali, artistiche e creative che hanno coinvolto diversi tipi di pubblico (dai concerti ai laboratori didattici per le scuole). Ultimi, in ordine cronologico, progetti ancora in progress, legati alla produzione del contemporaneo, il cui obiettivo, assai ambizioso, è riportare, attraverso la cultura, i cittadini e le amministrazioni a dialogare tra loro, in spazi condivisi, per mettersi in gioco con idee e necessità in un ritorno alla vita sociale (di questo percorso fa parte l’iniziativa intitolata Social Culture Cafè, svoltasi all’interno del mercato coperto di via Santo Stefano, i primi giorni di ottobre).
Come è possibile mettere in piedi tutto questo mentre si svolge un’altra professione, quando non c’è un ente, pubblico finanziatore, quando si è sconosciuti ergo, inesistenti agli occhi di chi detiene potere decisionale ed economico? Certamente esistono tanti modi di operare e di raggiungere uno scopo. Io conosco questo percorso e ve lo racconto perché ha dato buoni frutti, ma invito i lettori a segnalare casi analoghi o dissimili da condividere e continuare nell’imperterrito tentativo di dimostrare che Ferrara è viva e si muove (a volte pure troppo, fino a far crollare le guglie di chiese e palazzi, ma questa è un’altra storia).
Un suggerimento arriva dalla lista che riporto qui sotto, contiene alcuni requisiti che si sono rivelati necessari per gestire e organizzare le attività di cui ho parlato poco fa:
– sapere dove si vuole arrivare, capire le risorse necessarie, promuovere la propria idea (prima o poi qualcuno disposto ad ascoltare lo si trova)
– confezionare l’idea in modo strategico per far capire alle istituzioni che a loro conviene sostenere e patrocinare il progetto, a titolo gratuito, si intende (questo può garantire visibilità e possibilità di sfruttare spazi pubblici inutilizzati)
– pianificare la ricerca di risorse (operazione n. 1: stilare una lista di chi potrebbe avere un tornaconto sostenendo la nostra attività. Operazione n. 2: capire chi potrebbe prestarci un servizio necessario in cambio di riconoscenza e ritorno di visibilità)
– avere braccia buone e nozioni pratiche di bricolaggio
– attivare tante relazioni per costruire dei solidi rapporti di collaborazione
– comunicare e promuovere quello che si fa utilizzando tutti i canali possibili (oggi ce ne sono tanti di gratuiti)
– trovare il tempo per condividere quanto più possibile le fasi di lavoro con il resto del gruppo e suddividere i compiti in base alle diverse competenze
– non arrendersi mai davanti a un no o, peggio, davanti a una mancata risposta
– tenere sempre presente che cultura non è solo conoscenza (se fosse così il dibattito si polarizzerebbe esclusivamente tra chi sa e chi non sa), cultura è anche saper osservare e ascoltare, ma, soprattutto, saper fare e saper essere (solo con queste caratteristiche ri-costruiamo il nostro futuro capitale sociale).
Certo, la cosa più importante è avere buone idee che rispondano alle esigenze collettive. Poi viene tutto il resto.
Quasi dimenticavo di segnalarvi un’iniziativa che una lettrice mi ha chiesto di divulgare: il 24 novembre si terrà all’ospedale di Cona un’iniziativa pubblica, sulle terapie innovative per la malattia di Parkinson in occasione della Giornata Nazionale ad essa dedicata. E qui si apre un altro tema che sarebbe interessante discutere prossimamente: la cultura è trasversale!