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22 Novembre 2012

Il maestro… questo sconosciuto

di Francesca Boari | 3 min

Riflessioni, parole sparse su quello che sta accadendo nella scuola. Agitazioni, proteste, scioperi, sindacati, alunni, docenti tutti nella stessa direzione. Alla vigilia di una rivoluzione bisogna fare i conti con la cultura che la muove. Qualsiasi azione altrimenti rischia di svuotarsi di senso. “Agire significa muoversi in una direzione di senso” scriveva Aristotele.

Chi è il maestro, l’educatore, l’insegnante, il professore? Chi era ieri e chi era oggi?

Vorrei partire da qui, perché a volte mi sento offesa anche dalle parole dei miei stessi colleghi. Abbiamo scelto questa professione con tutto ciò che comporta una scelta, l’esclusione di tutte le altre possibilità. Non posso continuare a sentire numeri che variano tra il 18 e il 24 e conti che non tornano e soldi che non arrivano e progetti che si bloccano e attività che vengono negate e posti di lavoro che vacillano. Non posso pensare che la nostra categoria non sia capace di riabilitarsi attraverso una operazione culturale forte che diventi anche politica.

Non posso pensare che chi vive in questi tempi difficili non si senta più che mai investito di responsabilità rispetto alla formazione delle generazioni future su cui vanno riposte le speranze di una ripresa autentica della nostra realtà nazionale. Neppure tanto tempo fa il rispetto per il professore (oggi a mala pena prof…) era scontato. Le famiglie sceglievano la scuola per i propri figli non in base alle offerte extra ma per la fama di alcuni docenti e la serietà didattica che un istituto garantiva piuttosto che un altro. La concorrenza c’era, ma si basava sulla serietà professionale e non sul pacchetto offerte extra….

Le scuole si sono trasformate, hanno inevitabilmente seguito la logica del mercato.

I professori si sono adeguati e hanno smarrito nel caos delle offerte luccicanti per attirare più allievi il senso della loro scelta.

Scelte scellerate da parte degli ultimi governi non hanno fatto altro che aggravare ancora di più questa sconcertante ed inaccettabile situazione.

Quando ogni mattina entro in classe (da ventidue anni) ho davanti a me un numero più o meno cospicuo di persone con le quali voglio e devo entrare in empatia. Lo sforzo è smisurato e a volte i risultati possono essere stupefacenti. E-ducare richiede una capacità e una volontà di entrare in relazione con l’altro che affatica e svuota, poi ricompensa. Quando finisco le mie ore di lavoro a scuola, ecco che quello che ho, abbiamo vissuto insieme e questo resta dentro me, accompagna i miei pomeriggi, mi invita ad approfondire alcuni argomenti piuttosto che altri, ricercare alcuni linguaggi che potrebbero essere più efficienti di altri. A volte mi fermo a leggere i loro elaborati e iniziano le ore di correzione e quindi arriva sera nel lavoro “invisibile” che insieme a quello visibile è una parte fondamentale della mia vita. La mia scelta.

Credo che la rivoluzione debba partire da qui. Le scuole non sono dei parcheggi, non sono dei mercati e il maestro non è un sorvegliante o garante della sicurezza. Molto altro, di più.

Abbiamo voglia di partire da qui?

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