L'inverno del nostro scontento
11 Ottobre 2025

Un giorno direte tutti di essere stati contro

di Girolamo De Michele | 4 min

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Un giorno sarà considerato inaccettabile, negli educati circoli liberali dell’Occidente, non aver riconosciuto le migliaia di persone innocenti uccise in quell’inconveniente di tanto tempo fa. Se si va abbastanza in là nel futuro, l’omicidio sistemico di un popolo diventerà un tema abbastanza sicuro da metterlo su un piccolo cartello in un prato. C’è sempre posto sul prato di un liberale.

Un giorno ci sarà una resa dei conti, anche se spesso a coloro che hanno commesso le atrocità più inimmaginabili nei campi di sterminio è stato permesso di rientrare nella società civile. L’uomo che ha piantato il proiettile nella testa della bambina potrebbe tornare ad allenare la sua squadra di calcio. La pattuglia che ha aperto il fuoco sui civili affamati potrebbe incontrarsi di tanto in tanto per una serata di karaoke, magari vantarsi di quello che ha fatto quando è ancora accettabile, ma con il passare degli anni si farà più silenziosa fino a unirsi in un tacito legame più forte di quello di sangue. Il soldato che con il suo carro armato ha travolto il corpo in manette, che ha sentito lo schianto e ha percepito la frattura potrebbe tornare a casa dalla sua fidanzatina del liceo, chiederle la mano in ginocchio e avere un giorno dei figli. A persone capaci delle azioni più mostruose che gli esseri umani possano compiere sui propri simili potrebbe essere concessa un’ultima immunità, perché qual è l’alternativa? Guardare negli occhi un vicino e intravedere, quasi impercettibile, il tipo di macchia che nessun pentimento potrà mai lavare via? Chi può vivere così? Meglio andare avanti.

Ci saranno persone che non andranno mai avanti, che fino alla fine della loro vita lotteranno per dimenticare l’immagine del corpo trasformato in poltiglia rossa, del bambino costretto a mangiare cibo per gli animali, delle ossa che premono contro la pelle, del lento spegnersi della vita per mano della fame, dei fratelli grandi che devono dire ai più piccoli che tutti gli altri non ci sono più, delle tombe scavate in fretta e furia, una distesa all’orizzonte come pelle d’oca sulla carne della terra. E ogni volta che sentiranno un politico professare la supremazia del diritto internazionale, dei diritti umani, dell’uguaglianza per tutti, udiranno solo le urla da sotto le macerie.

Eppure, nonostante tutto, un giorno le cose cambieranno.

Accanto al diario delle atrocità, ne tengo un altro. Il medico palestinese che non ha abbandonato i suoi pazienti, anche quando le bombe cadevano sempre più vicino. L’intellettuale islandese che ha raccolto fondi per fare uscire i profughi da Gaza. I medici e gli infermieri americani che hanno rischiato la vita per andare a curare i feriti in un campo di sterminio. Il burattinaio che, cacciato da casa e ferito, si è messo a costruire bambole per far divertire i bambini. La deputata che ha mantenuto la sua posizione di fronte alla censura, al vetriolo costante, all’indifferenza dei suoi stessi colleghi. I manifestanti, quelli che hanno rinunciato ai loro privilegi, al loro lavoro, che hanno rischiato qualcosa pur di parlare. Le persone che hanno filmato e fotografato e documentato tutto questo, anche mentre lo vivevano, mentre seppellivano i loro cari.

Non è così difficile credere, anche nei momenti peggiori, che il coraggio è quanto mai contagioso. Che si investe più nella solidarietà che nella distruzione. Che così come è sempre stato possibile distogliere lo sguardo, è sempre possibile smettere di farlo. Niente di tutto questo male è mai stato necessario. Alcuni vagoni sono dorati, altri lucidi di sangue, ma la stessa motrice traina tutti noi. Dobbiamo smontarla ora, costruire qualcosa di diverso, oppure correre verso il precipizio, cullandoci nella certezza che quando sarà il momento, impareremo a posare i binari sull’aria.

Omar El Akkad, Un giorno tutti diranno di essere stati contro, pp. 186-188

L’immagine del testo è la radiografia del cranio di un bambino assassinato con un singolo colpo alla testa da un cecchino criminale dell’IDF; questa e altre radiografie, corredate dalle foto, sono state pubblicate su The New York Times il 9 ottobre 2024 all’interno di una inchiesta sui crimini dell’esercito israeliano condotta attraverso 65 medici di guerra statunitensi e inglesi volontari a Gaza (dopo aver operato in altri scenari di guerra, dall’Afghanistan all’Irak al Sudan); il New York Times ha verificato la congruenza fra radiografie, foto (che ha scelto di non pubblicare) e geolocalizzazione delle immagini, ha fatto visionare da chirurghi la documentazione per verificare la corrispondenza fra descrizione e immagini, prima di pubblicare l’inchiesta [che può essere letta qui e qui]

 

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