“La carestia è ovunque”: gli ospedali di Gaza svelano la portata dell’orrore
Le testimonianze dagli ospedali di Gaza del genocidio per denutrizione e della strage degli innocenti
Le testimonianze dagli ospedali di Gaza del genocidio per denutrizione e della strage degli innocenti
La strage di giornalisti a Gaza per assassinare la verità
Una lezione di disinformazione: come la propaganda del governo israeliano rovescia la realtà dei fatti per negare il genocidio in atto
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Francesca Albanese: il genocidio a Gaza non si è fermato perché è redditizio per troppe persone. È un business
Questo articolo di Simona Forti (che ringrazio per l’amichevole permesso di pubblicazione) è stato pubblicato il 25 agosto 2025 su la Stampa. col titolo “Se la terra promessa cancella l’umanità”.
Ho provato anche io, in alcuni casi, quel disagio di cui Liliana Segre ha parlato in un’intervista qualche settimana fa. A volte ho percepito dietro le accuse di genocidio nei confronti di Israele una sorta di godimento, un eccesso emotivo, che andava al di là delle accuse incontestabili. Mi sono indignata, quando le ho sentite o lette, per le parole di comprensione nei confronti dell’attacco di Hamas, salutato come impresa di resistenza e di liberazione senza riconoscere, in quell’azione da pogrom, l’intento di uccidere ebrei in quanto ebrei, fossero anche, come nei kibbutzim presi di mira, ebrei impegnati nel processo di pace. Provo dolore quando gli israeliani vengono considerati un solo corpo, compattamente rappresentato dalla testa di Netanyahu e dei suoi alleati “terroristi”. Mi rattristano i vari commenti che sminuiscono le proteste dei cittadini israeliani riducendole a manifestazioni animate dall’esclusivo desiderio di riportare a casa gli ostaggi, anche quando chi scende per le strade alza cartelli che ritraggono il volto, e riportano il nome, di una bambina palestinese morta, o quando le madri dei giovani soldati invocano la fine «della sporca guerra di Gaza».
Resta il fatto che quello che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania è intollerabile. Lo è per molti, ma lo è, forse, in modo diverso per ciascuno. Lo è per me, anche come figlia di padre ebreo e studiosa di filosofie legate alla comprensione dei genocidi e della Shoah. Riconosco la veridicità delle accuse degli storici del Novecento e dei giuristi internazionali, quando accusano di pratiche genocidarie, ma mi identifico nel senso di smarrimento di David Grossman, che confessa di sentirsi sgomento per quell’inimmaginabile «accostamento tra Israele e fame, Israele e genocidio». Eppure, con dolore, lo riconosce pertinente, chiedendosi come si sia potuti arrivare a questo punto.
I piani di insediamento di Netanyahu e i proclami deliranti di Smotrich e Ben-Gvir mi ammutoliscono. La combinazione tra il cinismo di Bibi – pronto a resuscitare Hamas mille volte, piuttosto che lasciare il suo governo e cedere Gaza all’autorità palestinese – da una parte, e il profetismo nichilistico dei suoi disgraziati ministri, dall’altra, toglie il sonno. Ciò che è intollerabile non è solo l’escalation che ha infranto ogni regola del diritto internazionale, la vergognosa sproporzione di forze tra l’esercito israeliano, appoggiato dall’amministrazione Trump, e i gazawi. Intollerabile è il significato etico della dismisura che si sta consumando; del superamento di un limite che prima d’ora, pur tra guerre, ingiustizie e sopraffazioni, Israele non aveva mai superato. Intollerabile è assistere ad una sorta di coazione a riprodurre, da parte di chi si sente padrone della terra (santa), la spirale distruttiva di un’ideologia totalitaria di cui gli ebrei sono stati vittime innocenti. Come è possibile non accorgersi che si sta seguendo, passo dopo passo, il copione che ha portato le passioni genocidarie del Novecento alle loro “soluzioni finali”? Fa parte, infatti, di questo scenario inchiodare la futura vittima allo status di nemico – perché parte di una totalità da liquidare per definizione – anche quando l’inimicizia non è agita. Ora, se per Israele il nemico è Hamas, i cui membri sono intenzionalmente in guerra con lo Stato ebraico, nemici non possono essere tutti i civili palestinesi, non lo sono sicuramente i bambini. Eppure, indistintamente, a prescindere da ciò che hanno fatto e fanno, hanno creduto e credono, eccoli tutti equiparati a minaccia esistenziale per la sopravvivenza. Da qui, la giustificazione ad imporre loro quella via crucis verso la nientificazione che gli ebrei dovrebbero aver ben scolpita nella memoria: privazione dei diritti, sradicamento dai nuclei umani di riferimento, distruzione delle case, spostamenti continui. E infine, appunto, la fame come arma. Hanno forse tutti dimenticato quell’immagine che Primo Levi riteneva racchiudere tutto «il male del mondo», «il musulmano»? Quel prigioniero dei campi di sterminio ridotto dalla fame e dalla fatica, dallo sradicamento e dalle percosse, a un mero fascio di reazioni fisiche incontrollate. È questo che per me è intollerabile: che in Israele ci siano coloro che non si accorgono di sposare esattamente quella logica che li ha portati ad essere non-persone agli occhi dei nazisti.
O forse se ne accorgono. Ed è proprio la forza del loro fanatismo teleologico a renderli ciechi e sordi. Non a caso, l’estrema destra di Ben-Gvir, che occupa seggi cruciali nella Knesset, segue il pensiero del Rabbino Meir Kahane: fondamentalista e razzista anti-arabo, sostenitore di una lettura letterale della Torah secondo cui il Popolo Eletto avrebbe il compito divino di conquistare con le armi la “terra promessa” , costi quel che costi. Messa fuori legge numerose volte, in passato, rimasta una minoranza per parecchi anni, questa corrente sta intossicando il Paese. Se il governo cadesse, tornerebbe alla memoria degli israeliani, proprio in virtù di ciò che hanno subito, il dovere di quella sensibilità di cui parla anche Grossman: una sensibilità nei confronti delle sofferenze di tutti e di ciascuno, non solo degli ebrei?
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