L'inverno del nostro scontento
21 Maggio 2025

Gideon Levy: I carri del genocidio stanno scaldando i motori.

di Girolamo De Michele | 4 min

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Questo editoriale di Gideon Levy, una delle principali firme del quotidiano israeliano Haaretz (anche lui antisemita? Chiedo per un amico) è stato pubbblicato il 14 maggio scorso [qui l’originale]. La traduzione è mia.
Nel frattempo, Paola Caridi scrive: “Cinque camion entrati a Gaza, ieri 19 maggio, dopo l’annuncio del premier Benjamin Netanyahu che Israele avrebbe concesso una moderata quantità di prodotti umanitari dentro Gaza. Un po’ di cibo e qualcos’altro. Ne entravano, prima del 7 ottobre, cinquecento al giorno. Ne sono stati permessi ieri 5. Un centesimo, di quelli necessari ‘a pieno regime’. Un granello, un’inezia umiliante dopo 80 giorni in cui nella Striscia di Gaza non è entrato uno spillo. Nulla, né acqua e né cibo né medicine né anestetici. Dei cinque autoarticolati, due contenevano – però – non oggetti per la vita, ma oggetti per la morte, in quello che è ormai un campo di morte e di morti. Contenevano non farina, ma sudàri. Sudàri, lenzuoli funerari”.

Circa 70 persone dall’alba a mezzogiorno di mercoledì. Quasi il doppio delle vittime del massacro del kibbutz Nir Oz. 22 di loro erano bambini e 15 donne. La sera prima, 23 erano state uccise in un ospedale.
L’operazione “Carri di Gideon” non è ancora iniziata, e i carri del genocidio stanno già scaldando i motori.
Come chiameremo questo massacro, così indiscriminato e inutile, ancor prima che la grande operazione sia iniziata? 23 morti nel bombardamento di un ospedale – uno dei crimini di guerra più gravi – solo per cercare di uccidere Mohammed Sinwar, l’ultimo diavolo, con nove bombe antibunker – tutto per soddisfare la brama di Yedioth Ahronoth [un quotidiano israeliano, n.d.t.] per il titolo principale: “Sulle orme di suo fratello”. I lettori l’hanno adorato, gli israeliani l’hanno adorato, nessuno si è espresso contro mercoledì.
A Riyadh hanno fatto la pace, a Gaza hanno massacrato. È difficile pensare a un contrasto più stridente di questo, tra le scene di Riyadh e quelle di Jabalya di mercoledì.
I corpi dei bambini trasportati dai genitori, il bulldozer che cerca di aprire la strada all’ambulanza e viene fatto saltare in aria, le persone che si rintanano tra le rovine dell’ospedale in cerca dei propri cari – tutto questo di fronte alla revoca delle sanzioni dalla Siria e alla speranza di un nuovo futuro.
Niente, nemmeno l’eliminazione di un’altra guerra del Sinai, può giustificare il bombardamento indiscriminato di un ospedale. Questa incrollabile verità è stata ormai completamente dimenticata qui. Tutto è normale, tutto è giustificato e approvato, persino l’attacco al reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Europeo di Khan Yunis è una mitzvah [comandamento della legge ebraica, n.d.t.].
Non c’è altra scelta che gridare di nuovo: non potete attaccare gli ospedali – e nemmeno le scuole trasformate in rifugi – anche se il comando aereo strategico di Hamas si nasconde sotto di essi. Anche se Sinwar è lì, la cui uccisione è così inutile.
C’è ancora qualcosa che possiamo fare a Gaza che verrà visto da Israele come moralmente e legalmente inaccettabile? 100 bambini morti? Mille donne per il fratello Sinwar? Era necessario eliminarlo, hanno spiegato, perché era un “ostacolo a un accordo di ostaggi”.

Abbiamo perso persino la vergogna. L’unico ostacolo a un accordo sugli ostaggi si trova a Gerusalemme, si chiama Benjamin Netanyahu, insieme ai suoi partner fascisti, e nessuno può nemmeno concepire che sia legittimo far loro del male per rimuovere l’ostacolo.

Quello che è successo mercoledì a Gaza è solo un’anteprima di ciò che accadrà nei prossimi mesi, se nessuno ferma Israele. Mentre la colossale campagna di Donald Trump nel Golfo avanza, ancora non si vede la pistola che fermerà Israele.
Quando si supponeva che ci fosse ancora uno scopo, quando gli obiettivi erano apparentemente chiari, quando il bisogno umano di punire e vendicarsi per il 7 ottobre era ancora comprensibile, quando sembrava ancora che Israele sapesse cosa voleva, era ancora possibile in qualche modo accettare le uccisioni e la distruzione di massa.
Ma ora non più. Ora che è chiaro che Israele non ha obiettivi né piani, non c’è più modo di giustificare ciò che è accaduto a Gaza martedì sera.
Nessun leader israeliano ha aperto bocca, nemmeno uno. La speranza della sinistra, Yair Golan, nei giorni migliori invoca la fine della guerra e, come lui, decine di migliaia di manifestanti determinati.
Vogliono porre fine alla guerra per riportare a casa gli ostaggi. Sono anche preoccupati per la vita dei soldati che cadranno invano.
Ma che dire di Gaza? Che dire del suo sacrificio? Come siamo arrivati ​​a una situazione in cui nessun politico sionista può intervenire in sua difesa? Non un solo uomo giusto a Sodoma, nemmeno uno.
Mercoledì, quelle immagini hanno di nuovo bruciato l’anima: di nuovo carri armati, di nuovo bambini in una lunga fila di sacchi per cadaveri sul pavimento, qui giacciono i loro corpi, e di nuovo il pianto straziante dei genitori per le loro figlie e i loro figli.
Mercoledì circa 100 persone sono state uccise a Gaza. Quasi tutte innocenti, tranne per il fatto di essere palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza. Sono state uccise dai soldati israeliani. Questo è il loro antipasto per la campagna a cui aspirano i loro militari – e noi rimaniamo in silenzio.

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