Sabato mattina del 16 novembre 2024, interno parrucchiera: Ah si vota? Per cosa?
Sabato sera dello stesso giorno, ragazzi davanti allo spritz: domani si vota? Ma cosa? Regioneee?
Venerdì 15 novembre, esterno scuola, docenti in chiacchera: boh, io stavolta non vado!
Tre esempi tra i tanti di cui sono stata testimone. Tre categorie diverse di persone, qualcuno inconsapevole, qualcuno sfiduciato, risultato: 46,42% di votanti, meno della metà degli elettori dell’Emilia-Romagna si è recato a votare. Il voto come un‘attività inutile! Il voto che noi donne abbiamo conquistato solo con l’avvento della Repubblica nel non così lontano 1946! Il voto che sta alla base della democrazia, in cui ci fregiamo di vivere, che diamo per scontato di esistere e resistere quando in realtà è la forma di governo meno praticata e in fondo assai recente, salvo tirare in ballo la democrazia ateniese non aperta alle donne le quali, comunque, nella civile Svizzera conquistano il diritto di voto solo negli anni settanta!
Il voto è un diritto costituzionale sancito all’art.48: “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano compiuto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico (..). C’è morta una generazione di giovani per arrivare a questo risultato e oggi c’è circa una metà della popolazione con diritto di voto che non lo esercita.
Così come non esercita il diritto di sciopero, sempre nella Costituzione, art. 40 : Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. Nonostante il buon successo dello sciopero generale del 29 novembre, il risultato non si può dire che sia eccellente, poiché ancora troppe categorie non utilizzano questo strumento per segnalare problemi e reclamare diritti. Lo sciopero costa – si obietta – ma il voto no, non costa nulla al cittadino eppure come lo sciopero sembrano diventati strumenti obsoleti.
C’è qualcosa di fallito che deve interrogare soprattutto le forze politiche progressiste e il sistema di istruzione se si è persa l’importanza dei due strumenti fondamentali della democrazia.
Ho letto frasi di sconcertante ignoranza: “ci si ricorda di noi (cittadini) solo quando c’è da votare o da scioperare”, come se esercitare questi due diritti fosse un favore a qualcun altro da sé.
Rappresento ora una forza politica, il Movimento 5 Stelle, che ha sicuramente fallito nelle ultime performance elettorali ma che fa del voto il pilastro della propria democrazia interna, tant’è che nel prossimo weekend gli iscritti torneranno a votare per dipanare la contestazione di una minoranza al loro interno. Il voto non deve mai spaventare. E’ l’esercizio più trasparente di volontà che è consentito in un contesto democratico, non a caso è il primo strumento che viene negato dalle dittature.
Il voto è stato reclamato anche il 29 novembre nella piazza Maggiore di Bologna dai massimi rappresentati dei sindacati CGIL e UIL che chiedono di lasciar esprimere i lavoratori sull’efficacia delle manovre di bilancio del Governo: quattro milioni di firme sono state raccolte e depositate dalla CGIL per i quattro referendum sul lavoro e la sicurezza per i quali si punta a votare nella primavera del 2025. Ora mentre per le elezioni di qualsivoglia livello non serve il quorum, per i referendum questo è necessario, del resto anche in caso di vittoria referendaria, come nel 2011 in cui 27 milioni di italiani – la maggioranza – chiesero di ripubblicizzare il servizio idrico, di fatto questo non accadde se non in limitatissime realtà.
Dunque anche in caso di vittoria del proprio voto, non vi è certezza del risultato, figuriamoci cosa accade se non lo si esprime! Il pensiero qualunquista ne trae la conclusione che votare non serva e legittima chi invece, assai consapevole del suo valore, agisce per limitarlo.
Il “tanto non cambia niente” o “nessuno mi rappresenta” fa il gioco proprio di quelle forze politiche che agiscono per deligittimare il risultato del voto, sia esso un referendum o un ‘elezione politica, non a caso in questo Paese si continuano a rimettere in discussione leggi in cui la volontà popolare si è più volte espressa, come nel caso dell’uso dell’energia nucleare o sulla validità della legge 194 in materia di aborto. Non mi stupirei se nel nome di Dio Patria e Famiglia si arrivasse a rimettere in discussione il diritto al divorzio oggetto del primo referendum italiano (1974) dopo quello del 1946 in cui si scelse la Repubblica. Ecco è proprio la gestione di quest’ultima che vedo a rischio se continuiamo sulla scia dell’astensione modello USA, dove vige di fatto una democrazia dei ricchi.
Detto questo, come insegnante e come rappresentate politica istituzionale mi pongo le domande sugli errori che io, la scuola e le forze politiche abbiamo commesso per non riuscire a far comprendere l’importanza dell’esercizio di scelta sia esso un voto o uno sciopero.
Forse tardivamente le istituzioni e la società si rendono conto della deriva autoritaria che può prendere un Paese quando a decidere sul proprio destino è una minoranza di persone e si corre ai ripari dichiarando di voler potenziare l’educazione civica a scuola, di cui uno dei pilastri è la Costituzione, che ciascun docente che si possa fregiare di questo titolo dovrebbe insegnare e praticare a prescindere dalle Linee guida ministeriali. Nella Costituzione c’è iscritto il diritto di sciopero secondo le leggi e non secondo le interpretazioni di qualche ministro, c’è scritto il ripudio della guerra (art.11) come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, c’è scritto che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività (art.53).
Questa è la rivolta sociale che tanto allarma alcune forze politiche: la richiesta di applicare la Costituzione finchè ce l’abbiamo!
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